27/10/2011
Anche nell’area del disagio depressivo
si distinguono forme che nascono
sulla scia di esperienze dolorose,di relazioni frantumate, di sogni svaniti,
di speranze infrante; e sono le forme
più frequenti che stanno sulla soglia
di ogni umana esistenza: nell’adolescenza
e nella giovinezza, nell’età
adulta e nell’età anziana.
Sono disagi depressivi che si possono
meglio tematizzare con denominazioni
come quella di malinconia, la
grande malinconia leopardiana, o come
quella di tristezza, la grande tristezza
rilkiana, che hanno una più luminosa
pregnanza tematica, e che in
ogni caso denotano la presenza di stati
d’animo per nulla patologici: benché,
se non sono riconosciuti nella loro
umana significazione, possano inutilmente
“allarmare” genitori e insegnanti
che sono tentati di attribuire a
questi stati d’animo connotazioni malate,
e di richiedere ancora una volta
ai medici di base la prescrizione di farmaci
antidepressivi: oggi, come quelli
ansiolitici, somministrati ad adolescenti,
e non solo ad adulti, senza alcuna
necessità, e anzi con il rischio di
modificarne la vita emozionale. Non
c’è dubbio che stati d’animo depressivi
in adolescenza trascinino con sé disagio,
e magari inquietudine, ma la
chiarificazione della loro natura, e
della loro significazione non di rado
creativa, come Giacomo Leopardi ha
ostinatamente sostenuto, se fatta da
medici di base prima, e da genitori e
insegnanti poi, è la sola cosa dotata di
senso, e capace di cura, che si possa
realizzare.
Dal brano di una lettera, in realtà
mai spedita, che Ingeborg Bachmann,
l’inenarrabile poetessa austriaca,
ha indirizzato, a vent’anni, a Felician,
riemergono elementi tematici
che ci fanno riconoscere la presenza
di un disagio depressivo non patologico:
«Che devo fare? Spesso sono preda
di una sconsolata depressione. Perdo
ogni speranza e precipito in una disperazione
senza limiti. Se solo potessi
vedere ancora una volta il sole! Il
mio sole. Ne porto un’immagine nel
cuore, dico nel cuore, perché altrimenti
da dove potrebbe venire questo
incendio del sangue? Dio dovrà
pur udirmi una volta. È possibile andare
per il mondo chiamando senza
che nessuno mi ascolti? Se non dovessi
ottenere mai soddisfazione, tutto
questo allora non avrebbe senso». (La
psichiatria non può fare a meno, essendo
l’oggetto della sua ricerca la
soggettività, l’interiorità, l’anima, di
chi sta male, di un’alleanza con le
scienze umane, e in particolare con la
poesia e la filosofia; come è sempre avvenuto
in Germania, in Olanda e in
Svizzera). In ogni caso, le arcane parole
di Ingeborg Bachmann ci dicono
come il disagio depressivo consenta
di fare riemergere dall’interiorità
dell’anima emozioni che sarebbe davvero
assurdo livellare, o addirittura
desertificare, con una farmacoterapia
antidepressiva. Sono disagi con cui si
deve convivere: senza drammatizzare,
e senza psichiatrizzare, le cose.
Le cose cambiano radicalmente
quando il disagio depressivo ha matrici
psicologiche molto più complesse,
ancorate a distorte forme di maturazione,
e di evoluzione, adolescenziali,
e tali comunque da portare alla crescita
di disagi depressivi neurotici in senso
freudiano. Il disagio depressivo di
questa natura costituisce, in particolare,
la minaccia più frequente in adolescenza
nella quale si manifesta spesso
nella forma di un’aggressività indirizzata
verso il proprio corpo: sia incorrendo
in molteplici incidenti stradali
sia realizzando condotte di automutilazione,
sia presentando disturbi alimentari
anoressici e bulimici che mettono
in pericolo la vita.
Certo, l’anoressia non è se non la
straziata metafora di un desiderio di
morire, di rifiutare la vita, che diviene
esplicito quando l’autoaggressività
sconfina nei tentativi di suicidio sempre
più frequenti negli adolescenti di
oggi, e che è necessario prendere sul
serio senza banalizzarli, ma ricollegandoli
alla presenza di un disagio profondo.
Di ovvia fondamentale importanza
è l’esigenza di analizzare, e di
decifrare, le radici strutturali di un disagio
adolescenziale come questo: distinguendo
quello che nasce da uno
stato d’animo depressivo, effimero e
talora creativo, e quello che nasce invece
da un disagio molto più articolato
e profondo, radicato nella storia
della sua vita, nelle relazioni vissute
con dolore, e con disperazione. Complesse
sono, qui, le strategie di cura
che devono essere radicalmente
orientate alla psicoterapia ma non disgiunte
da una blanda farmacoterapia
antidepressiva.
Nel contesto di questo discorso vorrei
sottolineare, infine, come nell’adolescenza
femminile, ma anche maschile,
oggi, si colgano disagi depressivi,
disturbi psichici, che conseguano alla
sensazione di non essere dotati di una
immagine del proprio corpo corrispondente
a quella ossessivamente
proposta dai grandi mezzi di comunicazione
mediatica, e incentrata su modelli
di dionisiaca bellezza.
Quella, che è possibile definire come
l’esperienza della propria immaginaria
“bruttezza”, è sorgente di acuto
disagio. Sono cose, queste, che
nell’epoca in cui viviamo, si sono drasticamente
accentuate sulla scia
dell’enorme influenza svolta dalle moderne
tecnologie nel condizionare
modi di vivere il proprio corpo che richiedano
interventi di chirurgia plastica
ed estetica: indirizzati a modificare
l’immagine del corpo adattandola
ai modelli di una bellezza così difficile,
e anzi impossibile, da raggiungere.
Come meravigliarsi, allora, che la
disperata ricerca di un’immagine del
proprio corpo diversa da quella che si
ha, trascini con sé risonanze depressive
crudeli e sconsolate; e non solo
nell’adolescenza?
Eugenio Borgna