19/05/2011
La donna patinata e seducente
scompare bruscamente
nell’informazione,
genere in cui prevale invece
la connotazione della
donna vittima o addolorata.
I recenti casi di Sarah
Scazzi e di Yara Gambirasio,
adolescenti scomparse
e ritrovate assassinate, come
tutti i casi di aggressione
a sfondo sessuale di cui
le cronache purtroppo abbondano,
presentano figure
femminili inermi o incapaci
di difendersi dall’aggressività
altrui, fino al
punto di pagare con la
morte.
Nei servizi di cronaca
nera compaiono quasi
sempre le madri e le mogli
addolorate per la perdita
di figli o mariti. È quasi automatico,
tanto quanto intollerabile,
il “riflesso condizionato”
dei giornalisti
che di fronte a una tragedia
vanno a interpellare la
sventurata donna di turno,
per chiederle: «Cosa prova
in questo momento?».
Le vicende legate all’inchiesta
dei magistrati milanesi
sul giro di donne che
hanno abitualmente frequentato
la casa di Arcore
di Silvio Berlusconi hanno
riempito le pagine dei
giornali e i servizi dei telegiornali
di una pletora di
giovani disposte loro per
prime a offrirsi come merce
in cambio di benefici
economici e professionali.
Lasciando all’autorità giudiziaria
il compito di riscontrare
ed eventualmente
punire gli eventuali reati,
non si può non evidenziare
una tendenza dei media
a rappresentare queste
giovani come una massa
dotata di grande forza
d’urto e grande impatto
anche in termini sociali.
Se da un lato è squallido
vedere larghissimi spazi informativi
occupati da questa
rappresentazione, dall’altro
è drammaticamente
sconvolgente prendere
atto del fatto che molte
donne giovani, interpellate
sull’argomento, hanno
dichiarato che in fondo
potrebbe anche valere la
pena di vendere il proprio
corpo e la propria dignità
in cambio di qualche sicurezza
materiale e lavorativa.
Molto meno appetibili
per le testate informative
sono, evidentemente, tutte
le altre donne, quelle capaci
di studiare, lavorare e
affermarsi senza scorciatoie
ma a prezzo di fatica e
sacrificio.
Nonostante alcune
di loro abbiano raggiunto
posti di responsabilità
e di rilievo (si pensi a
Emma Marcegaglia, presidente
di Confindustria, a
Susanna Camusso, segretario
generale della Cgil, alle
donne ministro del Governo)
l’identità delle donne
“normali” resta completamente
in ombra rispetto
alla presenza esorbitante
di vallette o veline dell’intrattenimento
che, sconfinando
dall’ambito strettamente
spettacolare che le
ha lanciate, sono diventate
protagoniste del panorama
informativo non certo
in virtù delle loro buone
azioni o della loro specchiata
moralità. Nel mezzo
della polarizzazione fra
la donna della cronaca nera
e la soubrette pronta a
vendersi per fare carriera
si colloca il filtro delle anchorwoman,
ovvero delle
giornaliste che, con la loro
presenza in video, ci ricordano
che le donne possono
anche aver studiato e
aver fatto buone carriere.
I direttori delle testate
giornalistiche sono quasi
tutti uomini, ma esempi
come quello di Concita Di
Gregorio, direttrice dell’Unità,
o di Bianca Berlinguer,
direttrice del Tg3, sono
interessanti e lasciano
ben sperare.
Marco Deriu