Dislessia, approvata la legge

Il testo tutela i 350 mila studenti che soffrono di disturbi dell'apprendimento. Stanziati due milioni di euro. Alcune testimonianze di genitori con figli dislessici.

Parla la psicologa Daniela Traficante

14/10/2010
Daniela Traficante, psicologa dell'educazione.
Daniela Traficante, psicologa dell'educazione.

L’approvazione definitiva della legge sulle “Nuove norme in materia di disturbi specifici di apprendimento in ambito scolastico” è sicuramente una notizia molto positiva, che non può che essere accolta con sollievo e speranza da chi, a vario titolo, si trova a fronteggiare le problematiche relative ai disturbi specifici di apprendimento. La dottoressa Daniela Traficante, psicologa dell’educazione e ricercatrice presso l’Università Cattolica di Milano, giudica positivamente questo testo. 

 Perché è così importante questa legge?

«Perché lo Stato ha riconosciuto la necessità di sostenere lo sviluppo armonico delle potenzialità dei bambini che si trovano in queste condizioni. Non si tratta di ragazzi “fannulloni”, “pigri” o, peggio ancora, “poco intelligenti”, ma di persone che hanno imparato a fronteggiare giorno dopo giorno la frustrazione di dover spendere una quantità enorme di energie per fare cose che i coetanei svolgono automaticamente, come leggere o eseguire un’operazione aritmetica, e rendersi conto che il risultato di tale impegno è, molte volte, una valutazione negativa da parte dell’insegnante». 

 A cosa va incontro un ragazzo dislessico cui non viene riconosciuto il suo disturbo?

«Generalmente si verifica una perdita di fiducia in se stesso e si sviluppano reazioni di ansia e frustrazione rispetto alla scuola. Questo profondo stato di malessere può indurre molti ragazzi ad abbandonare gli studi, sebbene siano dotati di una intelligenza brillante. Con questo provvedimento c’è la concreta possibilità che la società non perda la ricchezza di ingegno, di creatività e di originalità che possono derivare dall’opportunità di questi ragazzi di esprimere appieno le proprie capacità nei settori per cui sono più portati grazie alla loro predisposizione a organizzare le esperienze in modo originale, a ragionare per immagini, ad appropriarsi del funzionamento di meccanismi complessi». 

Quale sarà il ruolo della scuola?

«La scuola svolge sicuramente un ruolo centrale. Tramite la formazione dei dirigenti e dei docenti si cerca di fare in modo che avvenga il riconoscimento delle problematiche dei bambini, scardinando i preconcetti che normalmente sono alla base della rappresentazione dei disturbi dell’apprendimento, che molti insegnanti manifestano. Inoltre, l’applicazione degli strumenti dispensativi e compensativi, che finora veniva considerata quasi una concessione da attuare in modo discrezionale, deve essere garantita. L’obbligo di introdurre una didattica individualizzata e personalizzata permette di modificare quelle condizioni che incidono sul percorso formativo e sul benessere del ragazzo e della sua famiglia».  

A suo parere come reagiranno gli insegnanti?

«Di fronte alla richiesta di tenere in considerazione la peculiarità dei processi di apprendimento dei bambini con Dsa molti insegnanti potranno reagire con preoccupazione, pensando ad un carico di lavoro in più, difficilmente sostenibile rispetto all’impegno che quotidianamente devono sostenere per gestire classi di 28 – 30 ragazzi. In realtà, in presenza di una buona collaborazione con i genitori (a cui la legge riconosce la possibilità di avvalersi di orari flessibili sul lavoro per agevolare l’assistenza allo studio dei propri figli), gli aggiustamenti e le strategie da introdurre per migliorare il rendimento scolastico di questi ragazzi non richiedono un impegno aggiuntivo gravoso al docente, ma solo una organizzazione più flessibile dei compiti e modalità di esecuzione delle verifiche, che tengano conto dei limiti e delle difficoltà degli studenti con Dsa».    

Anche chi ha in classe un compagno dislessico va aiutato a capire?

«Certo, per favorire il benessere dei ragazzi dislessici è necessario lavorare ancora molto sulle relazioni all’interno del gruppo dei pari.  L’obiezione più frequente dei docenti rispetto alla modifica delle modalità di valutazione è che “non è giusto” fare distinzioni all’interno della classe; gli stessi ragazzi con Dsa spesso si rifiutano di utilizzare la calcolatrice o il Pc a scuola per non essere diversi dai compagni. In classe molte volte si viene a creare un clima di isolamento e persecuzione nei confronti di chi non riesce a leggere in modo fluente ad alta voce e non risponde prontamente alle interrogazioni sulle tabelline o compie un abnorme numero di errore nei dettati. Per cambiare questi atteggiamenti è importante che gli adulti di riferimento mostrino conoscenze aggiornate e atteggiamenti consoni al problema, provando a spiegare in modo semplice che l’intelligenza non si esprime nella velocità di lettura o di calcolo, ma in molte altre forme che devono essere adeguatamente valorizzate».

Orsola Vetri

Dossier a cura di Orsola Vetri e Simone Bruno
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