14/05/2013
Il fotografo Oliviero Toscani
Che cos’hanno in comune il sacerdote ultraconservatore di Santerenzo (Sp) che salì (ma forse sarebbe più corretto dire scese) ai disonori della cronaca nel dicembre dello scorso anno per aver affisso un criticatissimo foglietto in chiesa e il fotografo Oliviero Toscani appassionato di provocazioni che tante volte hanno fatto suscitato critiche aspre dal mondo cattolico? Probabilmente nulla. Tranne una curiosa coincidenza di idee. Sul foglio appeso da don Corsi, e presto tolto dai muri della chiesa per ordine del vescovo, si leggeva: «Donne e ragazze in abiti succinti provocano gli istinti, facciano un sano esame di coscienza: forse ce lo siamo andato a cercare». Più o meno la stessa cosa ha sostenuto pochi giorni fa Oliviero Toscani: «Le donne smettano di mettere il rossetto e di portare i tacchi e saranno al sicuro da violenti e maniaci»
Gli antipodi da cui lo citiamo danno l’idea che il pregiudizio di far ricadere la presunzione di colpevolezza sulle donne provocatrici goda tuttora di una almeno simbolica trasversalità, anche nel 2013, lontano dai tempi in cui il codice penale concedeva attenuanti per i delitti per causa d’onore, considerava punibili per adulterio solo le donne e considerava la violenza sessuale reato contro la morale anziché contro la persona. Le leggi nel frattempo sono cambiate, ma evidentemente – lo si evince dalle parole sopra riportate - è più difficile cambiare la mentalità delle persone, per cui pare tuttora valere quello che Leonardo Sciascia scriveva in 1912+1 a proposito di una vicenda di un secolo fa: «La convinzione che, nei casi di violenza carnale, la donna avesse sempre torto, coscientemente o incoscientemente, che rappresentasse e una provocazione era di pronto e lubrificato scatto».
Evidentemente in alcuni, si spera pochi, quella convinzione scatta ancora con identico automatismo. Chissà se chi la sostiene pubblicamente si rende conto di offendere così soprattutto gli uomini, tacciati implicitamente d’animalità, quasi che ragione e volontà fossero un fatto secondario o comunque insufficiente. Se invece, com’è probabile, solo di provocazione si tratta, sarebbe il caso di limitarla se non per rispetto di sé stessi, almeno per rispetto delle troppe donne che certi reati hanno subìto.
Elisa Chiari
Orsola Vetri (a cura di)