17/06/2012
Mario Lodi nella sua casa.
Un giorno del 2008 incontrammo Mario Lodi, nella sua casa di Drizzona, frazione di Piadena. Quello che potete leggere qui sotto è il risultato di quell'incontro e di settant'anni di riflessione sulla scuola elementare.
Mario Lodi è ancora "Il Maestro", con le maiuscole. A Drizzona, quattro case a un fazzoletto di campo da Piadena, in piena bruma bassopadana, sanno tutti dove abita. Perché così s’usava quando varcò per la primavolta col diploma in tasca lasoglia di un’aula, ai tempi in cui ilmaestro insieme con il parroco, il medico e il sindaco era l’autoritàdel Paese. Eppure Mario Lodi nonha nostalgia della scuola autoritariadi quei tempi. Anzi, è sceso dalla cattedra il primo giorno accontentandosi di una sedia (per mettersi all’altezza dei bambini) e da allora si batte per una riforma da dentro, senza troppi riguardi perle teorie dei ministri d’ogni coloreche si susseguono e fanno e disfano senza sosta.
Sperimentò la sua idea di scuola quando ci entrò nel secondo dopoguerra e la risperimenta oggi, a 86 anni, facendo da“chioccia” a un gruppo di maestri giovani sparsi per l’Italia.
A guidarli l’esperienza e le leggiche ci sono già, prima di tutto la Costituzione: «Non per leggerla, ma per viverla, in aula, a sei anni, perché la scuola non può accontentarsi di insegnare a leggere e scrivere, deve crescere cittadini responsabili».
Da settant’anni osserva bambini nel tempo e vede più continuità che differenze: «Il mondo è diverso da allora, ma non sono convinto, da quel che vedo frequentandoli, che i bambini di sei anni abbiano esigenze troppo diverse da quelle di sempre. Semmaiabbiamo un problema in piùda fronteggiare, fatto di Tv e computer che scollano sempre più i bambini
dalla vita reale per proiettarli in un
eterno virtuale, insinuando in loro la
convinzione che l’avere conti assai più
dell’essere e del sapere».
Rende l’idea con un aneddoto: «Sono
stato in una classe poco tempo fa, ho
chiesto ai bambini che cosa sognassero
di fare da grandi, uno mi ha risposto “il
miliardario”, ovviamente in euro, “così
mi compro due belle ragazze e due macchine”.
Gli altri ne hanno fatto subito
un leader. Nel “mi compro” c’è un’idea
di mondo. Se vogliamo una speranza come
scuola dobbiamo inventarci un sistema
per fermare questo mercato. Non
so se l’idea che ho saprà farlo. Sperimentiamo,
poi magari alla fine scopriremo
che non vale, ma almeno proviamo».
Mario Lodi davanti a un dipinto realizzato dai suoi bambini quando insegnava.
Quel che Mario Lodi sta provando è
un’evoluzione adattata all’oggi del suo
metodo di insegnamento. La documentazione
del progetto è un diario di fogli
scritti al computer, registra quel che i
maestri con cui è in contatto fanno in
classe giorno per giorno, seguendo la
sua idea di scuola democratica.
Che vuol dire esattamente? «I bambini
arrivano in classe con un sapere:
esplorando il mondo hanno imparato a
osservare, a parlare e sviluppato spontaneamente
un’enorme mole di conoscenze.
Da lì bisogna partire, cominciando
a non ignorare le cose che sanno e replicando
il metodo con cui le hanno apprese.
Un bambino che nasce ha nel
pianto il primo strumento per esercitare
la libertà di espressione, sa usarlo anche
se non sa che esiste l’articolo 21».
Il problema è che, per usare le parole
di Lodi, a scuola l’io deve diventare noi:
«All’inizio, parlando in classe, i bambini
fanno confusione, si scavalcano, parlano
tutti insieme. Far sperimentare un
momento di caos è un modo per far intendere
loro l’esigenza di rispettare i
tempi e le parole altrui. I primi minuti di
discussione ordinata sono il primo successo.
Poi viene la cooperazione: immagino
una scuola dove si discutono le esigenze
e di conseguenza le regole. Tra le
prime cose che chiedevo ai miei bambini
e che i maestri oggi chiedono ai loro
è di darsi da fare assieme per rendere la
loro aula più accogliente: la si fa bella
con i contributi di tutti, perché così diventa
casa e la si rispetta. È il nostro antidoto
contro il vandalismo».
Il principio funziona anche con le regole:
«Quando l’io diventa noi, i cittadini
dell’aula hanno bisogno di darsi delle
norme condivise, perché senza regnano
caos e prevaricazione: discutere insieme
le regole, darsele democraticamente,
significa accettarle. Lo stesso vale
per la valutazione: ci si autovaluta,
con un linguaggio che i bambini sappiano
capire, nel rispetto dei tempi di tutti.
Non credo ai voti alle elementari: un
bambino di quell’età non può essere
sintetizzato a numeri. So per esperienza
che far leva sui progressi, sulla soddisfazione,
nell’apprendimento paga più della
sottolineatura degli errori».
I bambini prima di tutto
«Quando si ragiona di cambiare la
scuola», continua Lodi, «lo si fa sempre
partendo da un’idea astratta e quando si
insegna si tende a farlo dall’alto. Invece
io credo che si impari meglio se un maestro
parte dal basso, dal punto di vista
del bambino, creando continuità con il
suo apprendere prima della scuola.
Perché
funzioni serve una costante comunicazione
con le famiglie, ma è meno difficile
di come sembra: se quel che si fa a
scuola si traduce ogni 15 giorni in un
giornalino le informazioni passano».
Nella scuola di Mario Lodi il bambino
sta al centro: «E invece spesso le esigenze
degli alunni sono l’ultimo pensiero».
È un’idea di scuola, ma di più una realtà,
perché Mario Lodi l’ha messa in pratica
per una vita. Dentro c’è un concetto di
classe come “fare insieme” che somiglia
a quello che don Lorenzo Milani applicò
a Barbiana.
E infatti le classi di Lodi eMilani
si scambiarono lettere per un po’:
«Avevo scoperto un po’ per caso, che, a
distanza, stavamo sperimentando cose
simili e sono andato a Barbiana a conoscerlo.
Lì è nata la corrispondenza».
Quando gli chiediamo che ne pensa
del maestro unico di cui tanto si discute
Lodi risponde che: «Non è fondamentale
che siano uno o tanti, dipende tutto
da come sono. Anche il tempo pieno
l’abbiamo inventato noi, a Barbiana e a
Vho di Piadena, ma non è un valore in
sé, conta quel che ci metti dentro: se è
un parcheggio non serve a niente».
Vengono in mente le parole di don
Milani: «Gli amici mi chiedono come
faccio a far scuola e come faccio ad averla
piena. Insistono perché io scriva per
loro un metodo, che io precisi per loro i
programmi, le materie, la tecnica didattica.
Sbagliano la domanda, non dovrebbero
preoccuparsi di come bisogna fare
per fare scuola, ma solo di come bisogna
essere per poter fare scuola».
Nessuno, né don Milani che non c’è
più da tanto tempo, né Mario Lodi che a
86 anni ancora insegna delle cose, si è
mai illuso che fosse facile tradurre in
realtà gli ideali. Ma non sembra una
buona ragione per non provare.
Elisa Chiari