Amianto, Eternit: storica condanna

I giudici di Torino hanno condannato a 16 anni di reclusione un miliardario svizzero e un barone belga, imputati per disastro ambientale e omissione dolosa delle norme di sicurezza.

Viaggio a Casale Monferrato, tra dolore, sete di giustizia e voglia di riscatto

13/02/2012
Una vecchia immagine dell'Eternit (foto di Guglielmo Lobera).
Una vecchia immagine dell'Eternit (foto di Guglielmo Lobera).

Il drago crudele non sputa più il suo veleno. Ma continua a uccidere. «L’ultimo funerale l’abbiamo celebrato ieri, una signora anziana, la stessa diagnosi di tanti altri: mesotelioma», sospira don Paolo Busto, direttore de La Vita Casalese, il settimanale diocesano. «Sabato scorso, invece, abbiamo accompagnato al cimitero una professoressa di educazione fisica, 56 anni e tre figli», interviene commosso il vescovo, monsignor Alceste Catella. «Viviamo con una pistola costantemente puntata alla tempia, se uno tossisce con una certa insistenza pensa: ecco, tocca a me», riprende don Paolo.

Da decenni Casale Monferrato si misura con un serial killer che ammazza in silenzio. Non una persona, non una banda criminale, ma un minerale: l’amianto. «Lo conoscevano già i Persiani e i Greci», spiega l’ex sindaco Riccardo Coppo. «Poco costoso, si trova in natura, tra le rocce; è resistente, isolante, ignifugo; viene a lungo considerato un buon affare. Per tanto tempo finisce un po’ dappertutto, in tubi e tegole, nelle carrozze ferroviarie, sulle navi o nei freni delle auto».

L’Eternit apre i battenti nel 1907. Trasforma un borgo agricolo dell’Alessandrino in un centro industriale. Entrare nei suoi stabilimenti è motivo d’orgoglio. Casale Monferrato e un’Eternit sempre più grande (attorno al 1965 l’azienda arriva a contare duemila dipendenti, cui vanno aggiunti quelli dell’indotto) finiscono per identificarsi: one company town, dicono gli esperti, come Torino e la Fiat oppure come Ivrea e l’Olivetti.

Una sistemazione sicura, insomma. «Be’, mica tanto sicura», precisa Coppo. «Lo abbiamo dolorosamente appreso a nostre spese con il passar degli anni. L’amianto è solido e compatto, ma anche fibroso. Può originare fili più sottili di un capello attraverso lavorazioni che sprigionano una bianca cipria mortale ». Del male provocato da questa polvere, spesso impercettibile, che le correnti d’aria trasportano ovunque, si occupano prima i tedeschi e poi gli americani. «Da noi gli allarmi si intensificano sul finire degli anni Settanta », afferma Bruno Pesce, già segretario della locale Camera del lavoro (Cgil), oggi uno dei coordinatori dell’Associazione familiari vittime dell’amianto (Afeva). «Fino ad allora si sa soprattutto dell’asbestosi, una malattia che toglie il fiato, fiacca le gambe e talvolta uccide. L’invalidità è riconosciuta e risarcita. Si tira avanti così, tre turni al giorno, sei giorni su sette, undici mesi all’anno».

«Io entro all’Eternit nel 1961», interviene Franco Porta, 71 anni. «Dove lavoro in precedenza, la busta paga s’aggira sulle 40 mila lire; lì, il mio primo stipendio è di 55 mila lire. Ogni mese ci danno pure un litro d’olio d’oliva. All’Epifania l’azienda fa dei doni ai nostri figli e, a richiesta, ci consegna gratis gli avanzi della produzione, che chiamiamo “il polverino”, con cui possiamo ad esempio ricoprire i nostri cortili. Pericoli? Notte e giorno stiamo a contatto con l’amianto bianco e con quello blu, molto più aggressivo. La polvere ci entra nelle narici e si posa sulle tute che portiamo a casa, estendendo così inconsapevolmente i rischi alle mogli e ai figli. Precauzioni? Qualcuna, da un certo punto in poi. Ma a conti fatti insufficienti».

«Con l’inizio degli anni Ottanta i decessi per mesotelioma pleurico si moltiplicano», sottolinea Pesce. «Nell’82 viene trasmesso al Comune il rapporto curato dal Registro dei tumori di Torino in cui si segnala l’elevata mortalità da amianto; la percentuale, a Casale Monferrato, è 16 volte superiore rispetto a quella del resto d’Italia», puntualizza Coppo. Nel 1986, il ramo italiano dell’Eternit presenta autoistanza di fallimento; nell’87, il sindaco Coppo emana un’ordinanza che vieta la lavorazione e l’uso dell’amianto a Casale. Nel 1992, l’Italia mette definitivamente al bando l’amianto. Nel 1995 il Comune acquista lo stabilimento per demolirlo e bonificare il sito.

«Il mesotelioma aggredisce in silenzio, se ne sta a lungo cheto, in certi casi fino a 30-40 anni, poi si manifesta e ammazza», dice Assunta Prato, moglie di Paolo Ferraris, già assessore regionale, ucciso dall’amianto ad appena 49 anni, una tragedia che l’ha lasciata sola con tre figli. «Quando mio marito è mancato, i decessi erano circa 20 all’anno. Nel 2011, sono stati 58. In tutto, i morti sono stati finora 1.800. Nessuno è al riparo. Oltre a tanti dipendenti Eternit, sono spirati o si sono ammalati impiegati di banca e negozianti, agenti d’assicurazione e ferrovieri. Il picco della mortalità è atteso attorno al 2020».


«Il 13 febbraio, a Torino andiamo in tanti, 17 pullman solo da Casale, 3 dalla Francia più altri ancora», conclude Romana Blasotti vedova Pavesi, presidente dell’Afeva. Il mesotelioma le ha ucciso il marito Mario, operaio Eternit, una sorella, un nipote, una cugina e una figlia. «Né rancore né vendetta. Vorrei solo che chi è colpevole provi ad assistere un malato, quando non bastano tre cuscini nel letto per respirare, e ci vuole l’ossigeno e non si riesce ad andare dalla camera in cucina. Così per mesi. In qualche caso per anni. Dolore, tanto. E come traguardo, la tomba».

Alberto Chiara
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