13/02/2012
Una vecchia immagine dell'Eternit (foto di Guglielmo Lobera).
Il drago crudele non sputa più il suo veleno.
Ma continua a uccidere. «L’ultimo funerale
l’abbiamo celebrato ieri, una signora
anziana, la stessa diagnosi di tanti altri:
mesotelioma», sospira don Paolo Busto, direttore
de La Vita Casalese, il settimanale diocesano.
«Sabato scorso, invece, abbiamo accompagnato
al cimitero una professoressa di
educazione fisica, 56 anni e tre figli», interviene
commosso il vescovo, monsignor Alceste
Catella. «Viviamo con una pistola costantemente puntata alla tempia, se uno tossisce
con una certa insistenza pensa: ecco, tocca a
me», riprende don Paolo.
Da decenni Casale Monferrato si misura
con un serial killer che ammazza in silenzio.
Non una persona, non una banda criminale,
ma un minerale: l’amianto. «Lo conoscevano
già i Persiani e i Greci», spiega l’ex sindaco Riccardo
Coppo. «Poco costoso, si trova in natura,
tra le rocce; è resistente, isolante, ignifugo;
viene a lungo considerato un buon affare. Per
tanto tempo finisce un po’ dappertutto, in tubi
e tegole, nelle carrozze ferroviarie, sulle navi
o nei freni delle auto».
L’Eternit apre i battenti nel 1907. Trasforma
un borgo agricolo dell’Alessandrino in
un centro industriale. Entrare nei suoi stabilimenti
è motivo d’orgoglio. Casale Monferrato
e un’Eternit sempre più grande (attorno
al 1965 l’azienda arriva a contare duemila
dipendenti, cui vanno aggiunti quelli dell’indotto)
finiscono per identificarsi: one company
town, dicono gli esperti, come Torino e
la Fiat oppure come Ivrea e l’Olivetti.
Una sistemazione sicura, insomma. «Be’,
mica tanto sicura», precisa Coppo. «Lo abbiamo
dolorosamente appreso a nostre spese
con il passar degli anni. L’amianto è solido e
compatto, ma anche fibroso. Può originare fili
più sottili di un capello attraverso lavorazioni
che sprigionano una bianca cipria mortale
». Del male provocato da questa polvere,
spesso impercettibile, che le correnti d’aria
trasportano ovunque, si occupano prima i tedeschi
e poi gli americani. «Da noi gli allarmi
si intensificano sul finire degli anni Settanta
», afferma Bruno Pesce, già segretario della
locale Camera del lavoro (Cgil), oggi uno
dei coordinatori dell’Associazione familiari
vittime dell’amianto (Afeva). «Fino ad allora
si sa soprattutto dell’asbestosi, una malattia
che toglie il fiato, fiacca le gambe e talvolta
uccide. L’invalidità è riconosciuta e risarcita.
Si tira avanti così, tre turni al giorno, sei
giorni su sette, undici mesi all’anno».
«Io entro all’Eternit nel 1961», interviene
Franco Porta, 71 anni. «Dove lavoro in precedenza,
la busta paga s’aggira sulle 40 mila lire;
lì, il mio primo stipendio è di 55 mila lire.
Ogni mese ci danno pure un litro d’olio d’oliva.
All’Epifania l’azienda fa dei doni ai nostri
figli e, a richiesta, ci consegna gratis gli avanzi
della produzione, che chiamiamo “il polverino”,
con cui possiamo ad esempio ricoprire
i nostri cortili. Pericoli? Notte e giorno stiamo
a contatto con l’amianto bianco e con
quello blu, molto più aggressivo. La polvere
ci entra nelle narici e si posa sulle tute che
portiamo a casa, estendendo così inconsapevolmente i rischi alle mogli e ai figli. Precauzioni?
Qualcuna, da un certo punto in poi.
Ma a conti fatti insufficienti».
«Con l’inizio degli anni Ottanta i decessi
per mesotelioma pleurico si moltiplicano»,
sottolinea Pesce. «Nell’82 viene trasmesso al
Comune il rapporto curato dal Registro dei tumori
di Torino in cui si segnala l’elevata mortalità
da amianto; la percentuale, a Casale
Monferrato, è 16 volte superiore rispetto a
quella del resto d’Italia», puntualizza Coppo.
Nel 1986, il ramo italiano dell’Eternit presenta
autoistanza di fallimento; nell’87, il sindaco
Coppo emana un’ordinanza che vieta la
lavorazione e l’uso dell’amianto a Casale. Nel
1992, l’Italia mette definitivamente al bando
l’amianto. Nel 1995 il Comune acquista lo stabilimento
per demolirlo e bonificare il sito.
«Il mesotelioma aggredisce in silenzio, se
ne sta a lungo cheto, in certi casi fino a 30-40
anni, poi si manifesta e ammazza», dice Assunta
Prato, moglie di Paolo Ferraris, già assessore
regionale, ucciso dall’amianto ad appena
49 anni, una tragedia che l’ha lasciata sola
con tre figli. «Quando mio marito è mancato,
i decessi erano circa 20 all’anno. Nel 2011,
sono stati 58. In tutto, i morti sono stati finora
1.800. Nessuno è al riparo. Oltre a tanti dipendenti Eternit, sono spirati o si sono ammalati
impiegati di banca e negozianti, agenti
d’assicurazione e ferrovieri. Il picco della mortalità
è atteso attorno al 2020».
«Il 13 febbraio, a Torino andiamo in
tanti, 17 pullman solo da Casale, 3 dalla Francia più altri ancora», conclude
Romana Blasotti vedova Pavesi, presidente dell’Afeva. Il mesotelioma le ha
ucciso il marito Mario, operaio Eternit, una sorella, un nipote, una cugina e
una figlia. «Né rancore né vendetta. Vorrei solo che chi è colpevole provi ad
assistere un malato, quando non bastano tre cuscini nel letto per respirare, e
ci vuole l’ossigeno e non si riesce ad andare dalla camera in cucina. Così per
mesi. In qualche caso per anni. Dolore, tanto. E come traguardo, la
tomba».
Alberto Chiara