Il decreto sulle liberalizzazioni si trasforma in legge

02/04/2012
(Foto: Eidon)
(Foto: Eidon)

Ci hanno provato in tutti i modi tanto che l’assalto ai Palazzi in effetti c’è stato: i lobbisti hanno intasato i corridoi di Palazzo Carpegna, dove si riuniva la Commissione Industria quando il decreto Cresci Italia era in esame al Senato. Il provvedimento ha affrontato la bellezza di 2400 emendamenti ma nonostante tutto, mentre l’attenzione era concentrata prevalentemente sulla riforma del lavoro, licenziata alla fine della settimana scorsa dal governo con un disegno di legge, nell’Aula di Montecitorio il decreto sulle liberalizzazioni si è trasformato in legge giovedì 22 marzo, con 365 voti a favore e 61 contrari. È effettivo da lunedì 26 anche se è bene dire che prima di vederne gli effetti concreti, quelli sulla vita di tutti i giorni, ci vorrà del tempo perché i mercati hanno una certa inerzia e le virate, ammesso che ci siano, non sono istantanee.

E allora rispetto alla prima versione del decreto, quella uscita dal Consiglio dei ministri per l’esame dell’Aula circa due mesi fa vediamo cosa è cambiato e cosa no sotto la pressione delle lobbies delle professioni e dell’industria, ricordando che parliamo di un Paese, il nostro, che nell’indice elaborato da Heritage Foundation e Wall Street Journal sulla libertà dei mercati, che assegna una misura da 1 a 100, si trova all’87esimo posto con un indice di 60,3. Tant’è che alla fine la pressione delle lobbies si era fatta così palpabile e asfissiante che il governo ha pensato di introdurre un registro dei lobbisti entro aprile, con tanto di accesso ai palazzi regolamentato che eviti gli intasamenti nei corridoi e sanzioni. Regolamento per i lobbisti ‘esterni’ ovviamente, visto che in Parlamento, tra Camera e Senato, siedono 133 avvocati, 90 giornalisti, 53 medici e...avanti c’è posto.

Alessandro Micci
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Postato da Rodolfo Vialba il 02/04/2012 10:38

Sebbene questo provvedimento, a seguito della sua approvazione in Parlamento, sia diventato legge, non posso dire di condividerlo in tutto e per tutto, ma lo considero il “termine di paragone” rispetto al quale misurare e valutare l’iniziativa del Governo Monti e la sua coerenza con i principi di giustizia, legalità, equità annunciati al momento della sua nascita. Come è ben documentato nell’articolo di Alessandro Micci, i contenuti del provvedimento approvato sono, su alcuni punti, sostanzialmente e profondamente diversi da quanto deciso dal Governo. Personalmente non condivido le modifiche introdotte dal Parlamento, ad esempio su Banche e Tassisti, ma prescindere da questo, tutto ciò non ha provocato ne minacce di crisi, ne crisi di Governo in quanto ha prevalso nel confronto tra Governo e Parlamento il principio costituzionale della sovranità del Parlamento sul Governo. Orbene per quale ragione ciò che è valso, in termini di metodo, per l’approvazione di questo provvedimento non dovrebbe valere anche per l’approvazione della riforma del Mercato del Lavoro? Sarà pure un mito o un tabù ma davvero il Governo considera le modifiche che propone all’articolo 18 più importanti delle modifiche che aveva proposto per le Banche e per i Tassisti e che ha abbandonato per strada? Non converrebbe al Governo, invece di dichiarare improbabili guerre contro l’art. 18, lasciarlo al proprio destino, visto che interessa non più di 500 lavoratori all’anno, che come dice Squinzi, futuro Presidente di Confindustria, l’art. 18 non è un tema di interesse per le aziende e che se le aziende non investono in Italia non è certo per l’art. 18 ma per i 120 miliardi di evasione fiscale, per il 60 miliardi di corruzione, per i 350 miliardi di economia sommersa, per la lentezza nel funzionamento della pubblica amministrazione, ecc., ecc., ecc.? Infine, quante volte mangiano in un giorno i dieci italiani più ricchi che hanno un reddito annuale pari a tre milioni degli italiani più poveri? Non sarebbe per il Governo questa la strada sulla quale intervenire con decisione per rilanciare l’economia, sostenere lo sviluppo, ridurre le disuguagliane sociali magari lasciando perdere l’art. 18 e introducendo la tassa sul grandi patrimoni?

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