Una domenica per salvare l'Africa

La Cei ha indetto per domani una colletta destinata a sostenere gli interventi della Caritas nel Corno d'Africa colpito dalla carestia. La situazione umanitaria e i possibili sviluppi.

La carestia del Corno d'Africa: i fatti

17/09/2011
La scala dell'insicurezza alimentare: le zone più scure sono quelle più "insicure".
La scala dell'insicurezza alimentare: le zone più scure sono quelle più "insicure".

L’attuale crisi colpisce principalmente le aree rurali in Somalia, Kenya, Etiopia, Eritrea, Gibuti. Ma oltre al Corno d’Africa, anche in Uganda, Sud Sudan e Tanzania si espande la crisi.

Le aree più colpite:

- il Centro‐Sud della Somalia, dove in 6 regioni è stato dichiarato lo stato di carestia. Si stima che circa 4 milioni di persone necessitino d’aiuto. Secondo la FAO nella Somalia meridionale le condizioni di emergenza permarranno sino al primo trimestre del 2012 e una ripresa non è prevista prima di agosto 2012

- le regioni del Nord e dell’Est del Kenya, con oltre 4 milioni di persone coinvolte, che comprendono sia i kenioti sia i rifugiati provenienti dalla Somalia che vedono il Kenya come Paese più sicuro e meglio assistito. I rifugiati sono 590.000 di cui 450.000 nel campo profughi di Dadaab, il più grande del mondo

- la parte meridionale e orientale dell’Etiopia e la zona ovest dell’Eritrea, con oltre 4,8 milioni di persone. L’Etiopia accoglie 260.000 rifugiati, in prevalenza somali, in vari campi. Il più esteso è quello di Dolo Ado, dove ci sono 120.000 persone. In minor misura sono state colpite le popolazioni di Gibuti, del Nord Uganda, dell’area orientale del Sud Sudan e la parte settentrionale della Tanzania.

     Il tragico panorama della situazione presenta sia la formazione di campi di sfollati in loco, poiché la siccità è paralizzante, sia fenomeni d’esodo di massa e dunque la creazione di campi temporanei improvvisati lungo gli assi stradali e di campi più stabili in luoghi più sicuri e assistiti.  

Le cause

     Diverse ragioni hanno portato alla crisi attuale. La scarsità di piogge è quella principale: ha colpito direttamente l’80% della popolazione, ovvero quella residente in contesti rurali, strettamente dipendente dall’agricoltura e dagli allevamenti. Il settore primario rappresenta infatti la principale fonte di cibo e reddito e l’economia di questi Paesi è sostanzialmente di tipo agrario.

     Tuttavia, la causa ambientale è solo il colpo di grazia subito da popolazioni da tempo in ginocchio, dimenticate ed escluse dagli investimenti dell’economia globale. Nel Corno d’Africa il problema della scarsità di cibo è abbastanza strutturale, e la produzione agricola è sempre di sussistenza, anche quando le condizioni climatiche sono buone. Inoltre, negli ultimi decenni la crescita di produzione agricola non ha compensato nemmeno l’incremento della popolazione.

     «In molti casi vi è stato un disincentivo nell’accrescere la produzione», sottolinea Caritas Italiana nel documento Fame di pane e di futuro, che accompagna la raccolta straordinaria di fondi. «Negli anni trascorsi ciò è accaduto a causa della concorrenza di prodotti importati a prezzi molto bassi in quanto eccedenze di produzione di altri Paesi. Oggi a causa della variabilità dei prezzi della derrate alimentari dovuta alla speculazione internazionale».

     Il documento indica anche le cause che stanno a monte dell’attuale crisi:

- i limitati investimenti nelle politiche agricole a favore dei contadini africani

- la mancanza di una politica di sicurezza e sovranità alimentare con una estrema dipendenza dall’esterno per l’approvvigionamento di cibo

- la svalutazione della moneta locale che rende la popolazione sempre più vulnerabile

- l’aumento dei prezzi degli alimenti e del petrolio

- la deforestazione e la desertificazione (il 60% del Corno d’Africa è classificato come arido)

- il riscaldamento globale del pianeta che ha provocato un innalzamento della frequenza delle siccità.

     «Tutto questo», conclude Caritas, «ha portato a un’allarmante scarsità di scorte alimentari, di pascoli per gli animali, di risorse idriche oltre che a un peggioramento delle condizioni igienico‐sanitarie, soprattutto per le fasce più deboli, che innalza drasticamente il rischio di epidemie».

     Non va dimenticato, infine, che tra gli altri fattori che hanno acutizzato l’emergenza ci sono i numerosi focolai di guerra e violenza, in Sud Sudan, Eritrea, ma soprattutto Somalia. Le tensioni politiche e le operazioni militari hanno reso gli interventi umanitari internazionali a favore delle vittime difficili e pericolosi, a volte impossibili. 

Luciano Scalettari

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