Occorre declinare questa attenzione collocandola nel contesto
internazionale. Non possiamo
difendere diritti acquisiti per noi sapendo che poco lontano da noi fame e
malattia sono esperienza quotidiana, e la questione della corresponsabilità
fiscale è strettamente legata con la tutela dei diritti fondamentali. Occorre
dunque una riflessione esigente su come realizzare una corresponsabilità
internazionale anche finanziaria
capace di estendere la tutela dei diritti. Per farlo però è necessario
dimostrare di vivere la dimensione della corresponsabilità con coerenza
all’interno del proprio Paese.
In Italia negli ultimi anni la richiesta di riduzione delle
tasse si è sviluppata come un mantra ripetuto ossessivamente – spiace dirlo –
soprattutto da chi nel Paese vive una condizione economica più agiata. E questo
mantra portava a descrivere lo Stato come un Leviatano che attenta alla libertà
e alla vita dei cittadini. Occorre un lavoro educativo che ci riporti a pensare che il pagamento delle
tasse - la corresponsabilità fiscale - è uno dei primi atti che creano la
comunità. Il compianto
ministro Tomaso Padoa Schioppa aveva dichiarato qualche anno fa che pagare le
tasse è bello e molti avevano ironizzato pesantemente sulla sua frase. Dovremo invece riprendere il
senso di quell’affermazione.
Perché i padri costituenti hanno vietato i referendum abrogativi in
materia fiscale? Non perché gli
italiani avrebbero immediatamente votato per abolire le tasse, ma perché il
vincolo fiscale è costitutivo della comunità. Un uomo e una donna diventano
famiglia quando decidono pubblicamente di mettere in comune le loro vite. E le
loro risorse, redditi e patrimonio.
I figli che nascono da quella scelta portano il nome di quella famiglia.
La nostra identità di figli e di persone è fondata su quella scelta.
Anche come cittadini, la scelta della
corresponsabilità fiscale è fondativa della nostra comunità e della nostra
identità. Siamo veramente italiani quando paghiamo le tasse, molto più che
quando segna la nazionale.
Sottrarsi alla corresponsabilità fiscale significa rubare ai più
poveri. I ricchi possono comunque
permettersi servizi privati a pagamento, i poveri no.
Con la crisi che continua, vorremmo questa attenzione centrale
nel dibattito elettorale e nell’azione del prossimo Governo. Ricreare le
condizioni per una unità del Paese in cui non ci sono nemici da allontanare, ma
una comunità che vuole camminare insieme, creando una corresponsabilità fiscale
comune, che nel dialogo, con determinazione e gradualità, riequilibri i pesi
alleggerendo quello sui meno abbienti e coinvolgendo chi ha di più, è un
percorso possibile che non solo diventa stimolo efficiente per l’economia, ma
ricrea un’idea moderna di unità nazionale. Una unità che non è fatta di rivalità
e condanne all’untore, ma di sinergie,
laboriosità e fiducia.