05/02/2011
Il senatore Gian Piero Scanu, capogruppo del Pd nella Commissione Difesa di Palazzo Madama.
Delle missioni militari italiane all'estero si ragiona troppo poco, e queste rischiano di cambiare rapidamente natura e modalità. Gian Piero Scanu, 57 anni, sardo della
provincia
di Olbia-Tempio Pausania, è il capogruppo del Partito
democratico nella
Commissione Difesa del Senato. «Nino Sergi e Intersos dicono il vero», dichiara a FamigliaCristiana.it. «Sono giusti i dati. È
giusta
l'evoluzione, o meglio: l'involuzione, che premia sempre di più
l'aspetto
militare a danno di quello civile. Ed è giusta, nonché
condivisibile, la
conclusione: così non va. Non si può gestire una questione
delicatissima
come la nostra presenza militare in Afghanistan a suon di
decreti, senza un
vero dibattito parlamentare, quasi si debba tacere per amor di
Patria, mentre
là si spara sempre più».
Il
parlamentare parte da un'osservazione. «Il Governo Berlusconi», afferma il senatore Scanu, «aveva
promesso d'impegnarsi per una nostra minor belligeranza e
per un maggior afghanizzazione. Come a dire:
cercheremo di
combattere di meno noi in prima persona, addestreremo di più e
meglio
poliziotti e soldati afghani, ma soprattutto rafforzeremo il
consenso delle
legittime autorità di Kabul, a suon di scuole, ospedali, strade,
ponti,
centrali elettriche. Peccato
che il nostro Governo predichi bene e razzoli male. Sta,
infatti, andando nella
direzione opposta: sui 754 milioni di euro stanziati per
rifinanziare
le missioni militari all'estero nel primo semestre 2011, solo 27
milioni,
ovvero il 3,6 per cento dei fondi, sono stati destinati a
progetti di
cooperazione allo sviluppo. Questa cifra andrà inoltre suddivisa
tra
Afghanistan, Pakistan, Irak, Libano, Sudan, Somalia e Myanmar
(l'ex
Birmania, ndr.).
Ha ragione Nino Sergi: per chi si rimbocca le maniche senza divise
nè fucili,
rimangono davvero solo le briciole».
Non solo. «Noi siamo
sempre meno Isaf e sempre più Enduring freedom», incalza
il senatore
Scanu. «Il governo Berlusconi ha assecondato un processo di
graduale ed
inesorabile assorbimento del progetto Isaf da parte di Enduring
freedom. Ciò
significa che accettando, nei fatti, di far prevalere la logica
dello scontro
militare, si è alterato il perimetro entro il quale sviluppare
la nostra
presenza in quel teatro, allontanandosi sempre più dal mandato
che, a suo
tempo, il nostro Parlamento attribuì alla missione Onu.
È un'inversione di
tendenza avviata circa due anni fa, quando sono
stati
riformulati i caveat, ovvero
le
regole di ingaggio: da allora, le decisioni gravi e importanti
possono
essere prese nell'arco di sei ore dal verificarsi di un
determinato evento e
soprattutto possono essere prese direttamente dai comandanti sul
campo, in
Afghanistan. Prima
occorreva passare necessariamente da Roma, da un filtro
politico, e non a caso
il limite era più ampio: 36 ore».
Mercoledì
9 febbraio, la quarta Commissione del Senato, quella che si
occupa di Difesa,
ha come primo punto all'ordine del giorno la "Conversione in
legge, con
modificazioni, del decreto legge 29 dicembre 2010, n. 228
recante la proroga
degli interventi di cooperazione allo sviluppo e a sostegno dei
processi di
pace e di stabilizzazione, nonché delle missioni internazionali
delle forze
armate e di polizia". Cosa farà il Pd? «Voteremo a favore. Non
possiamo
fare polemica politica sulla pelle dei soldati italiani schierati all'estero, che rischiano
la
vita. Ma questo non ci impedisce di reclamare a
gran voce un
dibattito su questo delicato tema, così com'è avvenuto in
Olanda, così come
avviene in Francia, in Gran Bretagna o in Australia. Certo là
non sono
distratti dalle miserie del bunga-bunga; in quei Paesi, la
politica estera e
quella della difesa son cose serie, partecipate, dibattute sui
mass media. Qui
abbiamo Ignazio La Russa che litiga con lo Stato maggiore della
Difesa per le
diverse versioni circolate sulla morte del povero alpino Matteo
Miotto, e
abbiamo Franco Frattini che viene sì, in Senato, anzi ci corre
pure trafelato
ma non per riferire sull'Afghanistan o sul Nord Africa in
fiamme, no, viene per
annunciare l'arrivo di carte da lui giudicate interessantissime
e valide sulla
casa di Fini a Montecarlo».
Alberto Chiara