02/02/2011
Nino Sergi, presidente di Intersos.
Lancia un appello-provocazione: «Esistono ancora le ragioni perché l'Italia
rimanga a combattere in Afghanistan?». Lo fa mentre sta arrivando in porto, al Senato, il Decreto legge che rifinanzia le missioni italiane all'estero dando molto (sempre di più) ai militari e meno (sempre di meno) ai progetti civili di cooperazione, quelli per intenderci che servono a distribuire cibo e acqua potabile, a garantire cure mediche adeguate, a costruire case, scuole, ospedali, strade, ponti, ma anche - tramite mirati progetti educativi - a plasmare una cultura di dialogo, di rispetto, di collaborazione. Nino Sergi conosce bene i conflitti: non solo e non tanto perché è nato nel 1942, in piena Seconda guerra mondiale, ma piuttosto perché ha fin qui investito molto del suo tempo e delle sue energie in Paesi dilaniati da combattimenti come la Somalia, la Bosnia-Erzegovina, il Kosovo, il Libano, l'Irak. E l'Afghanistan. Nel 1992 ha fondato Intersos, un'Organizzazione non governativa specializzatasi nel campo dell'emergenza umanitaria, attiva in 14 Paesi sparsi in Asia, Africa, Europa e America centrale. Oggi, con la sua lettera-appello intende informare, aprire gli occhi, suscitare dibattito.
«Stufo di vedere usato a sproposito il termine "umanitario", stanco di registrare la sostanziale rimozione dell'indirizzo politico sancito dall'articolo 11 della Costituzione, quello con cui l'Italia "ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali", il 25 gennaio, appena la Camera dei deputati ha approvato il decreto di legge che finanzia le missioni militari all'estero riservando briciole agli interventi di cooperazione e di sviluppo, ho scritto a tutti i parlamentari, rivolgendomi soprattutto ai senatori chiamati a dare l'ultimo parere al riguardo», dice a Famigliacristiana.it (che allega il testo integrale della sua nota). Esaminando il provvedimento, Nino Sergi lancia l'allarme sullo svuotamento
della cooperazione civile rispetto alla costante crescita degli stanziamenti per
gli interventi militari. «Nonostante il titolo del Decreto legge metta in evidenza
innanzitutto gli "interventi di cooperazione allo sviluppo" e solo in
seconda posizione le "missioni internazionali delle forze armate e di
polizia", ai primi vengono destinati solo il 3,6% dei 754 milioni stanziati
per il primo semestre 2011: cioe' 27 milioni, da suddividere tra Afghanistan,
Pakistan, Iraq, Libano, Sudan, Somalia, Myanmar».
Continuando nell’analisi del Decreto legge,
Intersos sottolinea che dal 2008 i fondi destinati alle attività di cooperazione
allo sviluppo sono diminuiti del 42%, rispetto all’aumento dei fondi messi a disposizione dal Decreto con cui si finanziano le missioni, aumentati gradualmente da un miliardo (2008) a un miliardo e mezzo (2011). Se nel 2008 il Decreto legge prevedeva che il 9,4% delle risorse totali servissero le
iniziative di cooperazione, nel 2009 si è scesi al 6,1%, nel 2010 al 4,7% e ora al
3,6%. «C’è da sottolineare anche che, con il quasi azzeramento dei fondi
previsti dalla Finanziaria per la cooperazione allo sviluppo (0,13% del PIL),
per alcune aree rimangono ormai solamente questi pochi fondi stanziati con il
Decreto "missioni internazionali», continua Nino Sergi. «L’Afghanistan subisce così una riduzione che
impedisce di pensare ad iniziative efficaci e durevoli a favore della
popolazione».
Per Intersos, «lo strumento militare sta diventando
l’unico strumento di intervento; i bisogni della popolazione interessano sempre
meno o solo in modo strumentale alla buona riuscita dell’intervento
militare».
Cosciente dell’inquietudine che
le domande senza risposta suscitano, Sergi invita i parlamentari che si
apprestano al voto del Decreto legge a rispondere chiaramente ai molti punti
interrogativi, soprattutto a quello fondamentale: «perchè si continua la
missione militare, se la centralità della popolazione afgana, con i suoi
bisogni reali e le sue aspettative, viene meno? Perche' si
combatte? Esistono ancora ragioni forti, vere e
convincenti che giustifichino questa presenza?».
Sono domande che da alcuni anni
attendono risposte chiare che non arrivano. «Oggi, ci sembra che vi siano
elementi, come quelli che abbiamo cercato di evidenziare, tali da mettere in
serio dubbio, ormai, l’esistenza di tali ragioni. Si tratta», prosegue Sergi, «di un cambiamento nella nostra valutazione della realtà rispetto agli anni
passati», che crea inquietudine. Allargando lo sguardo alle varie
crisi internazionali degli ultimi decenni, la nota di Intersos evidenzia come la
scelta militare sia stata quasi sempre il risultato della sconfitta della
politica. diventando così «l’alibi, la facile scorciatoia, la facciata dietro a
cui nascondere l’incapacita e l’impotenza politiche, sia all’inizio che nel
perdurare di alcune crisi». In questa prospettiva, aggiunge Sergi, «i militari
meritano considerazione e rispetto: per senso dello Stato acconsentono a coprire
l’inadeguatezza e le carenze della politica, coscienti di ciò e accettandolo,
in ogni caso, come dovere».
Il Decreto legge è all'esame della Commissione difesa del Senato, convocata in sede referente. Quindi deve essere valutato e votato dall'assemblea di Palazzo Madama.
Alberto Chiara