31/05/2013
Da fine anni ’80 i centri antiviolenza
rappresentano il presidio vero per aiutare
le donne maltrattate e minacciate
a cercare una vita senza paura. Per sé, e spesso
per i propri figli.
A Milano, la Casa di accoglienza
delle donne maltrattate (Cadmi) esiste
dal 1988: ha seguito oltre 25 mila donne
in difficoltà attraverso l’ascolto telefonico e i
colloqui personali, ne ha ospitate in indirizzi
segreti più di 600 che rischiavano la vita.
«Oggi il 30 per cento dei centri potrebbe
chiudere», sottolinea la presidente della
Cadmi, Manuela Ulivi, «nel momento in cui
le pubbliche amministrazioni, che all’inizio
pagavano operatori e davano sedi, cambiano
idea e non sentono più quei progetti come
prioritari. Con noi, per esempio, il Comune
di Milano rinnova di anno in anno la convenzione,
che sostanzialmente sostiene il servizio
di ospitalità, i nostri sportelli per l’antistalking
e la formazione che facciamo nelle
scuole. Noi però dobbiamo pagare l’affitto
della sede e delle case che abbiamo a indirizzo
segreto, e sei o sette operatrici assunte al
di là di tutto il nostro lavoro volontario».
La Cadmi aderisce all’associazione D.i.Re,
Donne in rete contro la violenza, che riunisce
63 dei centri italiani. Nel 2012 a questi
centri si sono rivolte 15.201 donne. «In Italia
esistono troppo pochi centri antiviolenza»,
ha denunciato Titti Carrano, presidente di
D.i.Re.
«Ci sono interi territori senza nessuna
offerta specifica. Per il Consiglio d’Europa,
il territorio nazionale dovrebbe offrire 5
mila posti letto per donne a rischio. Noi ne
abbiamo a disposizione solo 500».
Alcune ministre, a partire dalla titolare delle
Pari opportunità Josefa Idem, e la stessa
presidente della Camera Laura Boldrini, hanno
assicurato un rinnovato impegno contro
la violenza sulle donne, per un aumento dei
fondi e la creazione di un Osservatorio nazionale.
Nella discussione se servano oppure no
nuove leggi, Manuela Ulivi ha un parere chiaro:
«No, non ne servono. Se venissero applicate
adeguatamente, abbiamo tutte le leggi che
ci vogliono. L’unica cosa importante è la ratifica
della Convenzione di Istanbul, sottoscritta
dall’ex ministro ElsaFornero, che darebbe
una serie di direttive generali molto utili», anche per prevenire la violenza domestica.
I dati 2012 della Cadmi sono in linea con la
realtà nazionale: confermano che il 74 per
cento dei casi di maltrattamento sono stati
opera di mariti (47%), ex mariti (5%), conviventi
(18%) ed ex conviventi (4%).
La Casa di
accoglienza delle donne maltrattate ha anche
fatto il punto sugli indagati per stalking del
solo Tribunale di Milano (945 nel 2012), quelli
per maltrattamenti in famiglia (1.545) e per
violazione degli obblighi di assistenza familiare
(920). Ma 512 indagini per stalking si
sono concluse con la richiesta di archiviazione,
addirittura 1.032 per i maltrattamenti.
Commenta Francesca Garisto, avvocato
della Cadmi: «A volte la Procura non ritiene
sufficiente un certificato medico, o ritiene le
denunce pretestuose».
Altre volte sono parenti
e amici che invitano le vittime a minimizzare.
«Ma non bisogna confondere conflitto
e violenza», sottolinea Manuela Ulivi,
«dicendo: “Vi state separando, è normale che
siate in conflitto”. Soprattutto quelli che operano
sui casi di violenza devono avere formazione
e sensibilità specifiche».
Rosanna Biffi