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Violenza sulle donne, il modello inglese

31/05/2013
Patricia Scotland e il rettore dellUniversità Bicocca di Milano, Marcello Fontanesi.
Patricia Scotland e il rettore dellUniversità Bicocca di Milano, Marcello Fontanesi.

Non è vero che la violenza domestica è ineliminabile, e che non la si possa almeno ridurre moltissimo. Nel Regno Unito lo ha fatto Patricia Scotland, baronessa di Ashtal, avvocato di grande fama e per anni membro di governi laburisti. Prima donna Guardasigilli nel suo Paese con il governo di Gordon Brown, ha messo a punto un sistema di contrasto alle violenze in famiglia che viene chiamato"metodo Scotland". Già esportato con buoni risultati in Spagna e Nuova Zelanda, ora approda anche in Italia, grazie a un accordo con l'Università Bicocca di Milano.

    Alcuni giorni dopo la ratifica da parte dell'Italia della Convenzione di Istanbul relativa alla prevenzione e alla lotta della violenza contro le donne, Patricia Scotland ha siglato con il rettore dell'università milanese Marcello Fontanesi, un impegno comune per aprire nel nostro Paese una sede associata alla Global Foundation for the Elimination of Domestic Violence (Edv), la fondazione creata nel 2011 dalla baronessa di Ashtal. Marina Calloni, docente di Filosofia politica e sociale alla Bicocca, ne è l'ambasciatrice italiana e inizierà da una prima fase di ricerca e sensibilizzazione delle istituzioni. Nel suo viaggio in Italia, Patricia Scotland ha anche incontrato la presidente della Camera Laura Boldrini e un gruppo di parlamentari donne di tutti i gruppi politici.

    Dal 2003 al 2010, nella sola Londra gli omicidi legati a violenza domestica sono calati da 49 a 5. Dal 2003 il governo britannico aveva dato priorità alla riduzione di questa piaga, e i benefici sono stati non soltanto umani, ma anche finanziari: si calcola che fra il 2004 e il 2009, si siano risparmiati 7,1 miliardi di sterline per il recupero di giornate di lavoro da parte di donne non più sottoposte a maltrattamenti in casa. Oltre alla volontà politica, è stato molto importante  il sistema messo a punto da Patricia Scotland.

"L'anello debole era l'insufficienza di collaborazione e coordinamento", ha spiegato Patricia Scotland a Milano. "Governo, amministrazioni, gruppi di aiuto e aziende facevano ciascuno qualcosa. Perciò, abbiamo cercato di capire chi faceva cosa, come interveniva, quanto costavano gli interventi. Abbiamo organizzato una staffetta, nella quale ognuno passa il testimone all'altro: siamo passati dai 1.000 metri individuali percorsi con fatica, al di sopra dei propri mezzi, ai 10.00 metri a staffetta nei quali nessuno si stanca".

Il "metodo Scotland" prevede che contro la violenza domestica lavorino innanzi tutto due organismi: un gruppo di intervento in grado di valutare i rischi per la vittima, e un tutor che la segua subito dopo la denuncia e per almeno tre mesi. La vittima ha a disposizione un alloggio pubblico, così da poter lasciare l'abitazione insieme ai figli, e può contare sul sostegno dell'azienda, in modo da non perdere il lavoro. Fondamentale è la collaborazione tra sistema giudiziario, polizia, servizi medico-sanitari e sociali, protezione e assistenza legale per le vittime. In Gran Bretagna tutto questo ha permesso di ridurre i casi di violenza domestica.

Un libro che racconta il "metodo Scotland" con l'efficacia della narrativa è quello pubblicato da poco dalla scrittrice Simonetta Agnello Hornby con Marina Calloni, Il male che si deve raccontare - per cancellare la violenza domestica (edito da Feltrinelli). Agnello Hornby, nata in Sicilia, vive dal 1972 a Londra, dove ha svolto la professione di avvocato. Da decenni collega e amica di Patricia Scotland, dal 2012 collabora con la Global Foundation for the Elimination of Domestic Violence. E i proventi del libro contribuiranno alla sezione italiana di Edv.

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