20/12/2010
C’è chi sostiene che l’unico modo per
proteggere l’acqua donataci dalla natura è quello di farla diventare un
bene di consumo, di darle un valore
economico, cioè di avere un cartellino del prezzo. In un certo senso è vero:
solo se l’acqua viene pagata almeno quanto il costo della distribuzione forse
possiamo evitare di sprecarla. Ma questo non può essere l’unico principio a
guidare la gestione dell’acqua. Come affrontare il problema dell’iniquità che
inevitabilmente si viene a creare quando alcuni possono pagare e altri no?
Sandra Postel, che attualmente dirige il Global Water Policy Project, parla con chiarezza degli svantaggi insiti
nel considerare l’acqua come un bene economico: “Il rischio è quello che le
funzioni economiche siano elevate al di sopra delle funzioni di supporto alla
vita e che si finisca per non dare spazio ai tre pilastri della sostenibilità:
efficienza, equità e protezione degli ecosistemi”. In sostanza è questione di
scegliere in che tipo di mondo vogliamo vivere. Un mondo dove regna sovrano il
mercato? Oppure un mondo dove al centro c’è l’uomo?
Impatto demografico. Dal 1900 al 2000 la popolazione mondiale è
passata da 1,6 a
6,1 miliardi. I ritmi di crescita stanno rallentando ma,
secondo le proiezioni Onu, la popolazione mondiale arriverà a 8 miliardi nel
2030. Crescita non uniforme: 2% in aree sviluppate,
38% nelle altre. Nel 1900 l’86% della popolazione viveva in
campagna ed il 14% in città; nel 2000 il 53% vive in campagna ed il 47 % in
città. Nel 2030 circa il 60% vivrà in città. Nel settembre del 2000, 189 Paesi hanno assunto un impegno: entro il 2015, ridurre
della metà il numero di coloro che non hanno accesso ai servizi idrici
nell’ambito degli obiettivi del Millennio. Obiettivo trascurato dalle grandi
organizzazioni internazionali e dai Paesi che hanno assunto quell’impegno.
Perché tanto disinteresse? Perché si preferisce puntare su altre azioni? Perché
non sembra essere prioritario l’obiettivo del Millennio?
Giuseppe Altamore