20/12/2010
Il rapporto Camdessus, presentato al
Forum internazionale dell’acqua di Kyoto del 2003, per raggiungere gli obiettivi del Millenium
development goals prevede il passaggio da 80 a 180 miliardi di dollari di investimenti
annui. Il nodo del finanziamento è essenziale ed è su questo punto che si
dipana un dibattito spesso ideologico. Da una parte coloro che applicano un
teoria economica liberista che affida al mercato la capacità di affrontare e
risolvere il problema della realizzazione del servizio idrico. Dall’altra i
sostenitori dell’acqua pubblica a ogni costo, che prevede il solo intervento
della fiscalità generale rifiutando tout court l’idea che il servizio ha un
costo e che le tariffe ne devono tenere conto. Ecco allora che ci troviamo di
fronte a un impasse in cui le vittime, i titolari del diritto all’acqua,
rimangono tali.
Il valore politico dell’acqua. Acqua
e potere è un binomio antico come il mondo. Nell’antica Roma, come ci riferisce
il Frontino, la gestione degli acquedotti
era affidata a figure politiche-amministrative, come il curator aquarum che dipendevano
direttamente dall’imperatore. Si pensi al ruolo del Pontifex, l’ingegnere che costruiva i ponti… Le opere realizzate
dai romani non erano solo realizzazioni concrete ma avevano un forte richiamo
simbolico e di potere che ancora oggi ci colpiscono. La gestione pubblica o
privata è una questione eminentemente politica. Ci sono gestioni pubbliche
ottimali e altre fallimentari. Porre la questione in termini puramente
ideologici non aiuta a dissetare miliardi di
persone. Scandali e sprechi contrassegnano ambedue i modelli.
Giuseppe Altamore