18/07/2012
Lord Sebastian Coe, presidente del Comitato organizzativo dei giochi olimpici di Londra 2012 (Foto e copertina Reuters).
Mancano pochi giorni ai Giochi olimpici di Londra (27 luglio - 12 agosto) e naturalmente viene riportata anzi amplificata sui media la classica paura di non arrivare in tempo a fare tutto bene per una inaugurazione perfetta ed un prosieguo del programma in armonia con questa perfezione iniziale.
Siccome frequentiamo giornalisticamente la materia olimpica dal 1960 (e non a partire dai Giochi estivi che Roma quell’anno ospitò, ma ancor prima, da quelli invernali organizzati a Squaw Valley, California, Usa), possiamo garantire che tutte le apprensioni di questi giorni, cominciate con la sensazionale allarmante scoperta di carenze anche umane (mancanza di addetti davvero esperti) negli apparati per la sicurezza e continuate con le riscontrate lacune di abitabilità del villaggio olimpico inaugurato undici giorni prima del via, fanno parte di un copione critico e canonico che i media hanno messo a punto nel dopoguerra, cominciando proprio con Londra 1948 (la seconda delle tre organizzazioni – un record, la prima nel 1908 - conquistate dalla capitale inglese).
Diciamo che sino a Berlino 1936, edizione magnificata non solo dalla stampa nazista ma da un po’ tutto il mondo dello sport, le celebrazioni dell’Olimpiade erano tutto un inno alle magnifiche sorti e progressive dello sport. E intanto ri-ri-ri-ricordiamo che Olimpiade è a rigore di termini il periodo che intercorre fra una edizione e l’altra dei Giochi appunto olimpici: così adesso siamo ai Giochi della trentesima Olimpiade, calcolando anche i quadrienni bellici che non videro le edizioni del 1916, del 1940 e del 1944.
A Londra 1948 si scoprì nell’Europa delle macerie il timore della penuria di generi alimentari, “valida” anche in vista di Helsinki 1952. Melbourne 1956 fu allarme per i fusi orari del mondo australe (prima volta) e la rigidità delle norme igieniche australiane, penalizzanti specialmente i cavalli. Roma 1960 vide su giornali stranieri e italiani la fioritura, nella lunga allarmata vigilia, di allarmi specifici sul sicuro caos del traffico (eppure le auto erano ancora pochine), di allarmi generici sull’approssimazione degli italiani e specialmente dei romani (Cortina 1956, bellissimi Giochi invernali, non fece testo, troppo semplice l’organizzazione di una manifestazione piccola, settoriale).
Idem per Tokyo 1964, idem per Città del Messico 1968, con previsioni di incapacità e di confusione, in un Giappone rinascente ma povero e in un Messico sempre moribondo.
La stampa ci sguazzava, gli inviati del “prima” scrivevano articoli apocalittici e lettissimi. Nel 1972 la stampa fu quasi delusa dal “tutto germanicamente bene” nella calma vigilia dei Giochi di Monaco di Baviera, si rilassò e – guarda un po’ - ci fu la strage terroristica al villaggio olimpico e all’aeroporto.
Debiti ancora adesso in corso di pagamento per Montréal 1976, boicottaggio Usa vs Urss e Urss vs Usa per Mosca 1980 e Los Angeles 1984, con previsioni smentite di Giochi mutilati e dunque poco interessanti. Apprensioni anticipatissime per Seul 1988 in una Corea del Sud in stato di guerra con quella del Nord: tutto ok. Barcellona 1992 doveva essere il pressapochismo latino in salsa spagnola anzi catalana, fu la perfezione.
Atlanta 1996, con i Giochi del Centenario scippati dal denaro Usa ad Atene, era annunciata come la potenza statunitense dispiegata organizzativamente, e fu il caos, persino con una bomba. Sydney 2000 era di nuovo il lontano, troppo lontano mondo australe, e fu una meraviglia. Atene 2004 doveva essere la grande crisi dei greci poveri e arruffoni, fu una splendida edizione anche se ancora da pagare. Pechino 2008 era all’insegna del tutto perfetto, considerato lo sforzo della Cina, la stampa allarmistica fu battuta dalla stampa curiosa del nuovo, e fu una bella edizione.
Adesso ci sono allarmi per Londra, funzionano da provvido vaccino, ne siamo certi: la stampa intesa in senso lato, cioè scritto ed elettronico, sfoga la sua vocazione alla critica, gli organizzatori si curano dei rimedi, la gente si allarma il giusto, fermandosi alla soglia della curiosità senza arrivare a quella della paura. Poi magari i terroristi colpiranno: ma non certamente per lacune della sicurezza, semplicemente perché il terrore, lo sa bene il mondo, non è arginabile, contrastabile a priori, men che mai in un paese democratico.
E’ facile organizzare i Giochi olimpici, basta avere i soldi, e Londra li ha, li trova. Il gigantismo olimpico in sé non esiste, da anni e anni gli atleti sono sui diecimila, e la televisione tende a mettere tutto dei Giochi sotto un tendone alla
Truman Show: il programma non si gonfia ed è sempre meglio gestibile.
Casomai c’è un progressivamente maggiore uso della manifestazione olimpica per varare e imporre faraonici progetti di sostanziale mutamento di una città, quando non di un intero paese. Ma sono progetti decisi dai governi, che hanno o comunque reperiscono i mezzi per portarli a termine (ce la fece anche nel 2004 il governo greco per Atene).
Scommettiamo che Londra 2012 vedrà una bella organizzazione, e si potrà scrivere di gare e di gareggianti senza distrazioni.
Il problema, casomai, è di quell’altra Olimpiade, nuova e rivoluzionaria, che verrà ”scritta” da telefoninomaniaci capaci di tutto, dai cultori di blog, Twitter, Facebook e altre cose del demonio.
Aiuto.
Gian Paolo Ormezzano