05/05/2011
Vincenzo Nibali.
Ivan Basso non ci sarà, e invece ci sarà Alberto Contador, quello che
si era candidato come signore sempre in giallo sulle orme di
Armstrong e per contrappasso è finito nel bel mezzo del giallo di
un’indagine antidoping, prima colpevole, poi innocente, poi si vedrà. E
in ogni caso con addosso l’ombra lunga del sospetto quest’anno niente
Tour solo Giro.
Contro di lui si candida Vincenzo Nibali, signore in rosso della
Vuelta, campione mondiale Under 23 qualche anno fa. Emigrante dalla
Sicilia alla Toscana, fama da gregario di lusso che si è sudato tutto
fin dalla prima bicicletta, autocostruita a partire da un vecchio
telaio. Sulla carta uno da gavetta, uno che si è fatto sudando da
gregario, figlio di un ciclismo povero ed epico dove capitani non nasce
ma si diventa. Tutto il contrario di Contador che si è imposto sulle due
ruote con il fare imperioso del predestinato.
Sarebbe bello immaginare che fossero due mondi che si fronteggiano:
quello di uno mai sospettato di taroccamenti contro uno su cui grava
l’ombra della patacca. Il mondo del ciclismo d’altri tempi contro quello
troppo chimico di oggi. E ovviamente ci piacerebbe che vincesse il
primo, non perché si tratta di un italiano (e nel Giro del compleanno
non sarebbe male) ma perché, se fosse come sembra e noi lo speriamo,
sarebbe anche un modo di ridare al ciclismo un po’ della credibilità
perduta.
Poi, certo, s'è visto troppo marcio per mettere la mano sul fuoco.
Anche perché ogni volta che ne beccano uno con le mani nella
marmellata, la casta si chiude gridando al complotto o nella migliore
delle ipotesi all’accanimento indagatorio, mentre il malcapitato si
arrampica sugli specchi dando la colpa al microscopio strabico che ha
preso un abbaglio. Un atteggiamento di cui, nel ciclismo e altrove,
cominciamo a essere stanchi. Né vale la scusa che nel ciclismo si indaga
più che altrove: il mal comune mezzo gaudio, perdonate, non ci
convince. Anche perché se chi cerca poi trova, qualche motivo ci sarà.
Poi, certo, fino a prova contraria vale la presunzione d’innocenza.
Elisa Chiari