Roma 2020, il Governo dice no

Il presidente del Consiglio Mario Monti fa appello alla coerenza e non firma la candidatura olimpica di Roma 2020. La delusione degli atleti è comprensibile, ma le priorità sono altre.

Le ragioni di Monti

14/02/2012
Mario Monti. (foto Ansa).
Mario Monti. (foto Ansa).

Il sogno di Roma 2020 sfuma definitivamente martedì 14 febbraio 2012 alle 16,15. Il Governo Monti non firma le garanzie. Niente candidatura. Un minuto dopo parte il dibattito: le ragioni del sì contro le ragioni del no. Mario Monti, presidente del Consiglio di un Governo tecnico nato per riacciuffare sicuramente l'Italia (e forse l'Europa) sull'orlo del baratro, ne fa una questione di coerenza: «Non pensiamo sarebbe coerente impegnare l'Italia» in questa garanzia che «potrebbe mettere a rischio i denari dei contribuenti».

Alle parole di Mario Monti ha fatto eco il ministro Gnudi: «Ciò non significa che questo Governo non voglia promuovere i valori dello sport, noi vogliamo aumentare e valorizzare la pratica dello sport nelle scuole, abbiamo dei progetti e abbiamo firmato delle convenzioni con alcune Regioni».

Che l'Olimpiade moderna abbia storicamente pagato tributo per ragioni diverse - e spesso meno nobili di questa - alla Ragion di Stato è un dato di fatto. Spesso è accaduto distorcendo i valori dello sport, piegati a servire esigenze diverse: necessità di vetrina, di potenza politica e muscolare, spesso sulla pelle degli atleti e sulla loro fatica. E' accaduto con il doping di Stato: spesso una guerra, neanche tanto fredda giocata sui corpi, soprattutto delle donne. E' accaduto con i boicottaggi, con anni di lavoro atletico resi vani per decisioni che con lo sport in senso stretto non avevano a che fare.

Ma diverso, del tutto diverso, è fare appello alla responsabilità di un Paese, di cui lo sport è anche vetrina. Diverso è chiedere - come sta accadendo ora -, nel contesto di un sacrificio collettivo chiesto a una Nazione intera, un sacrificio anche allo sport, desideroso di esprimersi al meglio dentro casa.

Le ragioni del no parlano di troppi rischi nel lievitamento dei costi preventivati, le ragioni del sì evocano possibilità di sviluppo. Vero è che ci sono città, come Barcellona, rinate dopo i Giochi - ma l'economia spagnola anche per altri motivi non ha tenuto il passo - vero è che Torino con il 2006 s'è scoperta un'anima solare che non sapeva d'avere e che oggi la rende meta di turismo e passioni. Però è difficile non interrogarsi sul destino di un trampolino destinato a marcire a Pragelato- a costi ambientali ed economici elevati - e di una pista da slittino, che a Cesana, nonostante tanti trionfi concentrati in pochi anni, è costretta già adesso a pensarsi coniugata soltanto al passato. Difficile non chiedersi ora, non tanto se ne valesse la pena, quanto se sia il momento di riprendersi il rischio.

L'Olimpiade moderna - Londra 2012 che deve ancora venire lo dimostra - ha costi che il passato mai avrebbe immaginato, soprattutto in fatto di sicurezza. Londra avreva fatto un piano di due miliardi abbondanti di sterline e ora ha già superato i nove. Mancano ancora sei mesi. Atene, dicono gli esperti, docet. E quel che insegna spaventa. Secondo gli esperti l'economia greca ha cominciato a morire nel 2004 dopo un'Olimpiade meravigliosa.

Sarebbe già bello che fosse solo una questione di tempo, che il "non ora, non qui" fosse solo un atto di responsabilità, per consentire un futuro meno nuvoloso (anche per lo sport).

Elisa Chiari

Elisa Chiari e Gian Paolo Ormezzano
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