Mine, le armi vigliacche

Nel 1997, il Trattato di Ottawa. Nel 2008, la Convenzione di Oslo. Mine antiuomo e bombe a grappolo (cluster bombs) sono al bando. Chi riconosce le norme e chi no. Chi smina e chi muore

Sul campo, a sminare. L'esempio di Intersos

06/01/2012
Foto: Reuters.
Foto: Reuters.

«Al momento dell'esplosione l'onda d'urto è di circa 6.000 metri al secondo, la temperatura arriva a 4.000 gradi e il rumore è di molto superiore a quanto l'orecchio umano possa sopportare. Tutto questo in un tempo infinitesimale: un quattromillesimo di secondo. Ecco cosa succede quando una persona mette il piede su una mina». Non c'è posto per retorica o attenuanti nelle parole di chi, come Nino Sergi, fondatore di Intersos, ha incontrato le persone mutilate dalla guerra, ha parlato con i familiari delle vittime.


Intersos è un'organizzazioni umanitaria attiva in tutto il mondo, soprattutto nelle aree di conflitto, a sostegno delle popolazioni in pericolo. Lo sminamento è una delle sue vocazioni prioritarie. «Fin dal '92, anno della nostra fondazione, siamo venuti a contatto con questa gravissima realtà – racconta Sergi – Anche quando le guerre finiscono, finché un territorio resta minato parlare di pace è impossibile. Ogni giorno si registrano nuove vittime, le strade non sono percorribili, i campi vengono abbandonati a loro stessi. Il solo sospetto della presenza di mine può paralizzare villaggi interi. Così abbiamo capito che questa partita doveva essere la nostra partita: nel '97, dopo aver coinvolto alcune associazioni di militari pensionati, che possedevano le conoscenze tecniche necessarie, abbiamo dato vita alla prima unità di sminamento».

Un mezzo blindato usato nelle azioni di sminamento. Foto: Reuters.
Un mezzo blindato usato nelle azioni di sminamento. Foto: Reuters.

Quando si arriva in un territorio infestato dalle mine bisogna prima di tutto raccogliere dati minuziosi. Spesso le mappe sono inesistenti: ci si basa sulle testimonianze della popolazione, sui racconti degli agricoltori, dei pastori, degli stessi sopravvissuti. Inizia poi lo sminamento vero e proprio: un lavoro lento e molto costoso, che va fatto palmo a palmo, metro quadro dopo metro quadro. Oggi ci sono tecnologie per facilitare le operazioni "ma il sistema manuale resta il più sicuro – spiega Sergi – perché è l'unico che garantisce una totale affidabilità". La bonifica di un territorio circoscritto ad opera delle squadre di sminatori dura solitamente dai 6 agli 8 mesi.

Ma Intersos non si limita a questo. «E' necessario educare la popolazione, istruirla al rischio, fare campagne nelle scuole, soprattutto con i bambini che sono particolarmente esposti. Negli ultimi anni il 60% della nostra attività si è concentrata in questi settori e nell'assistenza a profughi e rifugiati».


Somalia, Cambogia, Colombia, Afganistan, Iraq, Kurdistan, Bosnia Erzegovina, Kosovo, Libano: questi alcuni dei Paesi dove l'associazione umanitaria ha operato. Non solo: «Nel sud est dell'Angola abbiamo avviato un centro ortopedico per la produzione di protesi e la riabilitazione delle vittime, oggi gestito da personale locale. In certi contesti siamo perfino riusciti a incontrare alcune milizie di guerriglieri, convincendole a smettere di usare le mine». Nino Sergi ha visto decine di situazioni di crisi e toccato con mano la brutalità della guerra. Eppure la sua esperienza non gli impedisce di alzare gli occhi verso un orizzonte di speranza: «Penso che a lungo andare si arriverà a una completa messa al bando delle munizioni antipersona, cluster bomb comprese. Negli ultimi anni si è sviluppata una solida coscienza condivisa: quando c'è una pressione forte dell'opinione pubblica e della comunità internazionale, i governi non possono più far finta di niente».

Lorenzo Montanaro
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