29/05/2012
«Episodi di violenza come quello di Brindisi acquiscono lo
stato di incertezza e di paura in cui versa il Paese. E la crisi economica è
solo un aspetto di un decadimento più generale in cui stanno crollando i
valori, i modelli, le prospettive. Siamo tutti un po' più interessati a
difendere i nostri piccoli interessi personali e ci apriamo sempre meno. Ma da
questa situazione usciamo solo se stiamo insieme, solo se si innesca quella
giusta coesione sociale il cui collante non può che essere la solidarietà. È
qui che il Terzo settore entra in campo: deve essere promosso, sollecitato,
rendendo i giovani nuovamente protagonisti nell'associazionismo, nella
cooperazione, nelle iniziative sulla legalità». Katia Stancato è nata e vive a
Cosenza dove è da sempre impegnata nel volontariato al cui servizio ha messo
anche la sua laurea in Economia: a soli 23 anni è stata nominata presidente di
Confcooperative, oggi è componente della Giunta della Camera di commercio della
sua città ed è portavoce del Forum regionale del Terzo settore. "Oltre la
siepe" (edizioni Rubbettino) è il racconto corale della sua terra: storie
di uomini e di donne che con i loro sogni e la loro determinazione hanno creato
un circolo virtuoso di energia positiva grazie alla quale la Calabria può e
deve dimostrare di essere altro rispetto ai fatti di cronaca che riportano i
media, tra malasanità e criminalità organizzata. In questa lunga intervista,
prendendo spunto dall'attualità, ci racconta come il suo Sud, a partire dai
giovani e dal Terzo settore, sta provando a invertire la rotta.
Che idea si è fatta dell'attentato di Brindisi?
«Ammesso e non concesso che sia di stampo mafioso, non credo
sia un caso che sia coinciso con il passaggio della carovana antimafia promossa
da "Libera" e "Arci" proprio in quella città. Ma
l'importante è questa non si sia fermata cotninuando il suo eprcorso prima in Sicilia e poi proprio da noi, in Calabria, passando
da Lamezia Terme, Reggio Calabria e Crotone, in quei territori in cui nei mesi
scorsi si sono susseguiti gli atti di intimidazione, più o meno violenti».
Ma perché il mondo del volontariato dà così fastidio alla
mafia?
«Non certo per i soldi. Invece, si accanisce contro la
scuola, il Terzo settore e in generale contro tutte quelle energie positive che
in territori difficili stanno prendendo forma spontaneamente. È la libertà a
spaventare la criminalità organizzata che ha invece come interesse primario
quello di creare dipendenza nel tessuto sociale. Dipendenza dai suoi traffici,
dai suoi giri, per soggiogare la società civile e soddisfare il bisogno di
lavoro che indubbiamente c'è ed è una vera piaga. La soluzione, dunque, è
creare un'alternativa economica e sociale attraverso il lavoro così come in
passato ha provato a fare monsignor Bregantini nella locride, e oggi propongono
don Giacomo Panizza con "Progetto Sud" nell'area di Lamezia Terme e
don Pino de Masi nelle terre confiscate alla mafia nella piana di Gioia Tauro
con la cooperativa Libera. Ma non solo loro: ci sono tanti altri buoni esempi
di resistenza nelle parrocchie locali e nel laicato cattolico».
Come si può creare sviluppo in Calabria?
«La combinazione ideale è connettere il talento umano,
straordinario, con la vocazione dei nostri territori. Non ci dobbiamo inventare
proprio niente: basta valorizzare l'uomo e quella terra che troppo spesso
maltrattiamo e deturpiamo quando invece potrebbe essere fonte di ricchezza per
molte persone».
Alberto Picci