19/02/2012
Da sinistra: il ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola e il presidente del Consiglio, Mario Monti, durante la conferenza stampa svoltasi a Palazzo Chigi il 14 febbraio, giorno in cui al Consiglio dei ministri è stato presentato il nuovo Modello di Difesa. Foto Ansa.
Abbiamo un Governo “tecnico”. Il termine viene utilizzato sostanzialmente per distinguerlo da un Governo “politico” ma è comunque vero che i ministri componenti, ciascuno nei propri ambiti, sono validissimi “tecnici”. Ed anche l’ammiraglio Giampaolo Di Paola, attuale Ministro della Difesa, è un tecnico ed alla sua specifica competenza il premier si è affidato per far si che l’attuale strumento militare possa essere rivisto.
Sull’argomento difesa sono un “tecnico” anch’io e non solo perché sono un generale, quindi un “addetto ai lavori”, ma per aver lavorato attivamente nel passato alla stesura della legge che ha disegnato, nella sostanza, le attuali strutture militari, oltreché per aver partecipato a numerosi “programmi” e Commissioni per l’acquisto di armamenti. Penso dunque di poter utilmente spiegare gli interventi che, immagino, il mio illustre collega avrà in animo di attuare fra breve.
Alpini della Brigata Taurinense in Afghanistan. Foto di Nino Leto.
Ritengo che il ministro intenda procedere su tre componenti dello strumento militare e cioè: il numero del personale addetto, le strutture centrali e periferiche, gli armamenti. Il personale è il primo di questi tre aspetti. Siamo chiamati a
dare il nostro contributo all’estero, ed ovviamente dovranno
prioritariamente essere riesaminate le esigenze delle attuali 25 missioni di pace. Le nostre truppe attualmente impegnate in Afghanistan,
ad esempio, potranno ragionevolmente tornare a casa già ai primi del
2014 visto che l’America ha dichiarato di voler porre fine al suo
impegno in Afganistan entro tale anno ed i contingenti americani saranno
ovviamente gli ultimi a lasciare quel Paese.
Attualmente le tre
Forze Armate hanno un organico di circa 180.000 unità, di cui circa
100.000 dell’Esercito, circa 35.000 della Marina Militare, circa 45.000
dell’Aeronautica Militare. Volendo ridimensionare l’organico di 30.000
unità, come sembra sia nell’intenzione degli Organi Responsabili, si
dovrà tener presente che l’Esercito viene impiegato anche per compiti
che nulla hanno a che fare con la sua missione fondamentale, (interventi
di protezione civile, di ausilio alla popolazione in difficoltà come ad
esempio la spalatura della neve e finanche la raccolta dei rifiuti), e
che le missioni all’estero sono costituite per la maggior parte da
personale dell’Esercito che nel passato ha contato infatti il maggior
numero di caduti.
L’Esercito per i suddetti motivi dovrebbe subire
pertanto i tagli minori. Ipotizzando tuttavia tagli lineari di 10.000
unità per ciascuna Forza Armata, si perverrebbe ad un organico pari a
circa 90.000 unità per l’Esercito, 25.000 per la Marina e 35.000 per
l’Aeronautica. Su questo numero di militari andranno calibrate le strutture e gli armamenti.
Afghanistan. Il Maxxpro, un veicolo resistente alle mine e dotato di protezione contro il fuoco delle armi a tiro teso. Ansa/Ufficio stampa dell'Esercito.
Le attuali “strutture”
sono in buona sostanza quelle previste dalla legge delega del 1966,
legge che conosco bene perché me ne occupai quando ero in servizio al
Gabinetto dell’allora Ministro della Difesa e insieme al professor Guglielmo
Negri, illustre costituzionalista, ne predisposi la bozza per la
successiva approvazione. Al tempo, ricordo, l’obiettivo che ci
proponevamo era quello di operare una “ottimizzazione” delle strutture
ed avremmo voluto allora fare tagli ben maggiori di quelli che riuscimmo
poi ad attuare. Alcuni (ed io ero tra questi) speravano di riuscire a
realizzare un unico Stato Maggiore ma purtroppo per ragioni politiche e
per le forti resistenze degli Stati Maggiori non riuscimmo ad operare
tagli superiori al 30%; riuscimmo però ad eliminare i Segretariati
Generali di Forza Armata e alcune Direzioni Generali di Forza Armata.
L’organico delle tre Forze Armate era a quel tempo di circa 600.000
unità e le strutture di comando furono, se pur generosamente,
proporzionate a tale numero di militari. Successivamente, come è noto,
anche per l’eliminazione della leva obbligatoria, il numero di militari è
progressivamente diminuito, malgrado ciò quello delle strutture è
rimasto incredibilmente stabile, anzi in qualche caso è addirittura
aumentato. Così oggi, con un organico di circa 180.000 unità abbiamo di
fatto le medesime strutture che avevamo ai miei tempi con 600.000
uomini. E’ impensabile.
Oggi, con un prossimo organico di circa 150.000
unità, le direzioni centrali dovrebbero essere eliminate, lo Stato
Maggiore della Difesa dovrebbe inglobare gli altri Stati Maggiori, le direzioni generali dovrebbero essere dimezzate, la logistica, con i
relativi ruoli, dovrebbe essere unificata. Si deve anche considerare che
con la eliminazione della leva obbligatoria vengono snellite di molto
le operazioni di reclutamento e dei richiami previsti in caso di
mobilitazione.
Per tutti gli organi centrali non dovrebbero essere
impiegate più di 2000/3000 unità ottenendo così uno strumento militare
più efficiente, più snello, più operativo, sburocratizzato, con una
azione di comando più aderente e più efficiente. Quanti palazzi poi si
svuoterebbero. La gran parte del personale civile (ma anche molti ufficiali e sottufficiali), potrebbe utilmente transitare in altre istituzioni, specie in quelle che lamentano carenze di organico come le istituzioni della Giustizia.
E che dire delle centinaia tra generali e ammiragli, oggi circa 600 in tutto? Potrebbero tranquillamente essere più che dimezzati. Nel 1992
il Ministro pro-tempore mi fece fare uno studio al riguardo. Pur
prevedendo per ciascuno di loro un congruo indennizzo per ogni anno di
congedo anticipato, in uno o due anni grazie alla diminuzione di
uffici, macchine, eccetera, saremmo riusciti a recuperare interamente la
spesa.
Un elicottero Mangusta durante un'operazione in Afghanistan. Foto di Nino Leto.
Armamenti: non sono in condizioni di fare un esame analitico dei
singoli sistemi per ciascuna Forza Armata che sono attualmente
all’esame per i conseguenti approvvigionamenti. E’ comunque evidente
che, in ogni caso, gli armamenti dovrebbero essere dimensionati
anche in relazione al personale che sarà disponibile. Se i dati che ho
letto sugli organi di stampa sono veritieri, ovviamente valutando caso
per caso, penso che grosso modo gli armamenti in un prossimo futuro
potranno essere pressoché dimezzati.
Due esemplari dei cacciabombardieri F-35 prodotti dalla Lockheed Martin.
Attenzione poi ai costi reali per
l’acquisto degli armamenti, e sottolineo “acquisto”, non
“manutenzione”, quelli sono costi che vanno computati a parte. Mi
preoccupo perché purtroppo in tempi passati le somme fissate
inizialmente, nell’arco di tempo tra l’avvio e la consegna della
commessa, inevitabilmente si triplicavano. Mi vengono in mente al
riguardo i mitici aerei F 35, di cui tanto si è recentemente discusso;
spero che i costi siano stati determinati con il sistema “chiavi in
mano” perchè in caso contrario altro che 15 miliardi di euro per
acquisire i 131 aerei previsti (o circa 10 miliardi se l’acquisizione è
ridotta di 40 unità)!
Certo un qualche ritorno economico per le nostre
ditte in Italia ci sarà pure nel tempo e certamente nel contratto sarà
stata stabilita la percentuale della spesa a favore delle ditte
italiane. Anche questo è un aspetto da considerare con cura e
contestualmente alla firma del contratto. Sulla base della mia
esperienza, allorché fui copresidente di una Commissione italo-
americana per il bilanciamento delle commesse nel 1983/84 per conto del
Ministro Spadolini (l’altro copresidente era il Sottosegretario alla
Difesa America, Pearl), ebbi modo di rilevare che per le commesse più
costose e tecnicamente più avanzate, gli aerei per l’appunto, le
componenti essenziali, le più dispendiose, erano prodotte da ditte
americane che ne possedevano i brevetti, a noi ahimè restavano giusto le
briciole.
Sempre nel 1982/83 il ministro Spadolini mi mandò in America
per verificare la opportunità di dotare la Marina Militare di una
portaerei che garantisse ai nostri aerei di poter operare in qualsiasi
zona dell’area del Mediterraneo. La soluzione di gran lunga più
economica sarebbe stata indubbiamente quella di attrezzare
opportunamente gli aerei Lockheed per il rifornimento in volo, come fu
fatto dagli israeliani quando bombardarono Tunisi; fu scelta comunque
la soluzione portaerei, assai più costosa in verità, ma che dava lavoro
ai nostri cantieri. In una generale valutazione del rapporto costi
–benefici tale scelta, allora, poteva essere ritenuta accettabile.
Ed
oggi? Spero che aanche in questo caso sia stato considerato quali ditte
italiane avrebbero potuto coprodurre gli aerei e la percentuale di
spesa a favore delle nostre ditte. L’ammiraglio Di Paola è un tecnico di
grande esperienza, e ben conosce i problemi che io ho qui appena
accennato; sono problemi “atavici” che la Difesa si porta dietro da
molti anni. Io ai miei tempi ho fatto ciò che ho potuto, confido che
oggi il ministro possa riuscire finalmente a ristrutturare con piena
efficacia le Forze Armate, riducendo la spesa militare, ed ottenendo uno
strumento nel suo complesso più efficiente ed a misura del nostro
Paese.
Roberto Jucci