17/02/2012
Il ministro della Difesa, Giampaolo Di Paola, in un fermo immagine della puntata della trasmissione "In mezz'ora" condotta da Lucia Annunziata, andata in onda il 15 gennaio. Foto Ansa.
Meno generali, meno ammiragli, meno aerei F-35, meno mezzi militari, meno effettivi, il tutto per garantire più operatività alle Forze Armate e migliorare le loro dotazioni tecnologiche. Questo l'obiettivo della riforma dello strumento militare, secondo
quanto sintetizzato dal responsabile della Difesa, Giampaolo Di Paola. Sono stati giorni intensi e cruciali, per il ministro. L'8 febbraio ha partecipato al Consiglio supremo della Difesa, al Quirinale, presente il padrone di casa, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Il 14 febbraio ha presentato il nuovo modello di difesa al Consiglio dei ministri e l'indomani, il 15 febbraio, ha fatto altrettanto davanti alle Commissioni difesa della Camera e del Senato riunite in seduta congiunta.
Soldati e mezzi militari italiani in Afghanistan in una foto diffusa il 3 febbraio 2012. Ansa/Ufficio stampa dell'Esercito.
«Abbiamo uno strumento militare sovradimensionato e
sottocapitalizzato», ha affermato il ministro della Difesa. «Per ogni 100 euro di ricchezza nazionale prodotta», ha ricordato Di Paola, «90 centesimi vanno alle Forze Armate, contro una
media di 1 euro e 60 centesimi dell'Europa. E queste risorse vanno per il 70%
(contro il 50% dell'Europa) al personale e solo il restante 30% all'operatività
ed agli investimenti. Serve dunque una riforma che riequilibri le risorse da
mettere a disposizione: questi 90 centesimi debbono essere spesi bene».
Abbondano gli alti gradi, scarseggia la truppa. I generali sono ben 425, mentre c'è carenza di
volontari in servizio permanente. Elevato anche il numero
di marescialli, addirittura 55 mila rispetto ai 25 mila previsti. L'obiettivo è
arrivare ad uno strumento militare composto in tutto da circa 150 mila unità nel giro di pochi
anni, rispetto ai 183 mila effettivi attuali. Il taglio, dunque, è di 33 mila militari cui vanno aggiunti 10 mila civili inquadrati nella Difesa (oggi sono circa 30 mila). La forbice toccherà in misura maggiore generali ed
ammiragli (-30%). Questo traguardo, è stato specificato, va raggiunto nell'arco di dieci anni, attraverso l'esodo
verso altre amministrazioni e tramite i prepensionamenti che riguarderanno soprattutto
gli ultracinquantenni, in coerenza con le esigenze di una Difesa più giovane ed
operativa.
Non è, ha riconosciuto il ministro, «una riforma che si fa in
un giorno o in un anno: parliamo di avviare un percorso che in un decennio
porterà in equilibrio lo strumento militare». Il risultato, nelle aspettative del Governo, «sarà
una struttura della Difesa ridimensionata nei numeri, ma in grado di esprimere
un'operatività all'altezza delle aspettative dell'Unione europea e della Nato».
E, per sottolineare la necessità di adeguarsi agli standard europei anche in
questo campo, il ministro si è permesso di citare uno dei padri del Partito
comunista, ricordando che «una volta Antonio Gramsci disse: per essere
cosmopoliti bisogna prima avere una Patria».
Soldati e mezzi italiani impegnati in Afghanistan. Foto Ansa/Ufficio stampa dell'Esercito.
Sarà ridotto il numero di basi militari, caserme ed
enti nel Paese aprendo ad «un importante piano di dismissioni di immobili ed
infrastrutture, quale contributo alla ristrutturazione della Difesa e come
concorso al più generale risanamento finanziario del Paese», ha sottolineato Giampaolo Di Paola. Per la componente terrestre, ha spiegato il ministro, «si
ridurranno le brigate di manovra da 11 a 9, la linea dei mezzi pesanti (carri e
blindo), la linea degli elicotteri ed un numero significativo di unità per il
supporto al combattimento (artiglieria) e logistiche». Per la componente
marittima, ha proseguito, «si contrarranno le linee delle unità di altura e
costiera (i pattugliatori, ad esempio, si ridurranno da 18 a 10), dei
cacciamine e dei sommergibili (da 6 a 4)».
Un cacciabombardiere F-35 prodotto dalla Lockheed Martin. Foto Ansa.
La scure, infine, non risparmierà il programma
più caro e discusso: quello legato ai cacciabombardieri F-35 frutto del progetto Jsf, Joint strike fighter, sviluppato e realizzato non senza problemi di carattere economico (impennata dei costi) e pratici (difetti da correggere) dalla Lockheed Martin. Il programma vale 15 miliardi di euro fino al 2026, di cui 2,5
già spesi.
Il nuovo modello di Difesa, con i relativi tagli, prevede l'acquisto di 90 cacciabombardieri F-35 invece dei 131 previsti
dal programma Joint Strike Fighter, con una riduzione di 41 unità.
La componente aerotattica, ha sottolineato Di
Paola, «è irrinunciabile: ora è assicurata da Tornado, Amx e Av-8B, che
nell'arco di 15 anni usciranno per vetustà dalla linea operativa. Saranno
sostituiti da Jsf, che è il miglior velivolo in linea di produzione, nei
programmi di ben 10 Paesi».
A cura di Alberto Chiara