Riforma Difesa, perché no: Sarubbi

«È un tema troppo delicato per decisioni frettolose a fine legislatura». L'on. Andrea Sarubbi, Pd, non ci sta a votare la norma. «Dar carta bianca al ministro della Difesa è un errore».

07/12/2012
Andrea Sarubbi, parlamentare del Pd e giornalista. In copertina: un cacciabombardiere F-35. Foto Reuters.
Andrea Sarubbi, parlamentare del Pd e giornalista. In copertina: un cacciabombardiere F-35. Foto Reuters.

«Troppa fretta. Rispetto ai tempi biblici del Parlamento, la delega al governo per la revisione dello strumento militare è arrivata alla Camera con velocità da record. Ma è una legge con parecchi chiaroscuri: non per quello che c’è scritto nel testo, ma per lo spazio enorme di manovra che lascia al ministro della Difesa e perché siamo ormai a fine legislatura e dunque a un passo dal cambio di governo».

     A parlare è l’onorevole del Pd Andrea Sarubbi. Uno dei primi deputati che ha risposto all’appello lanciato dalla Tavola della pace e dalla Rete Italiana Disarmo perché non venga votata questa legge di revisione delle Forze Armate.

     «Dalla società civile sono arrivate parecchie critiche», continua l’onorevole, «alcune un po’ forzate ma altre no: nel mio intervento alla Camera, ho esposto i miei dubbi, convinto che non siano poi così isolati nel resto d’Italia».

- Onorevole, quali sono i suoi dubbi?


     «Parto da lontano: due anni e mezzo fa, Savino Pezzotta e io presentammo una mozione, che chiamammo mozione Colomba e che arrivò in aula alla Camera il 28 marzo scorso. La mozione approvata (poi divenuta risoluzione, per qualche inghippo procedurale, ma il senso è quello) era un po’ più morbida di quella inizialmente presentata, ma ci sembrò comunque un bel passo in avanti: impegnava il governo a “subordinare qualunque decisione relativa all’assunzione di impegni per nuove acquisizioni nel settore dei sistemi d’arma al processo di ridefinizione degli assetti organici, operativi e organizzativi dello strumento militare italiano”».

- In altre parole?

     «Per dirla con le parole della Tavola della pace, della Rete italiana disarmo e di tutte le associazioni che invitavano in quei giorni il Parlamento a resistere alla tentazione di giocare a Risiko con i cacciabombardieri, il senso era: “Prima discutiamo compiti e obiettivi delle nostre Forze armate e poi decidiamo gli acquisti di cui abbiamo bisogno”».

- In teoria è quello che sta accadendo in questi giorni, col voto del Parlamento.

«In teoria. La realtà è ben diversa: innanzitutto, mi riesce molto difficile spiegare ai miei quattro elettori, e anche a me stesso, come mai questo Parlamento riesca a marciare così veloce quando si tratta di spese militari e poi si impantani sulle riforme più attese. Inoltre, io davvero pensavo che avremmo discusso il modello di difesa tutti insieme, nell’aula Parlamentare, come deve essere. Non avevo capito, perché non c’era scritto da nessuna parte, che il Parlamento avrebbe firmato una carta quasi in bianco – e se non è proprio in bianco il merito è del Pd – al ministro della Difesa, quando ormai la legislatura sta per finire, e che gli avremmo detto di pensarci lui».

- Quale deve essere la strada?

«La proposta iniziale del Pd, più di un anno fa, era quella di formare una Commissione bicamerale. La revisione dello strumento militare è una cosa seria e bisogna farla bene, affidando al Parlamento il compito di procedere a una revisione complessiva del modello militare, partendo dagli scenari internazionali e dai nostri obiettivi strategici. Quell’idea è saltata – per colpa di chi qua dentro è ancora nella maggioranza, fortunatamente per poco – ma resta il problema: è il Parlamento che decide la strategia di sicurezza nazionale. E dovrà avvenire nella prossima legislatura».

- Questo quanto al metodo. E riguardo al contenuto di questa legge?


«Una delle questioni principali è la possibilità di acquistare armamenti da parte del ministero della Difesa: le decisioni le prende il Governo, e si dà soltanto la possibilità al Parlamento di bloccarle, se questo programma non convince. Per di più, questo “diritto di veto” non vale per tutta la revisione dello strumento militare. L’altra grande preoccupazione riguarda la tempistica. Non voglio sminuire il ruolo del Governo, ma è un fatto che la sua scadenza è prossima. Con una legislatura ormai agli sgoccioli, con una maggioranza – e dunque, mi auguro, anche una linea politica – che è in procinto di cambiare, noi mettiamo mano oggi allo strumento militare, rischiando poi di dover ricominciare da capo tra qualche mese. Ha senso tutto questo, in un momento così difficile per l’Italia?».

- Già. Ha senso tutto questo, in un momento così difficile per l’Italia?

«Secondo me no. E per questo motivo, come ho annunciato alla Camera, credo che non voterò questo provvedimento».

Luciano Scalettari
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