Dossier Cooperazione, Italia ultima

Il nostro Governo è quello che stanzia meno fondi per gli aiuti allo sviluppo tra le Nazioni ricche.

No alla militarizzazione degli aiuti umanitari

15/04/2010
Il Campo profughi di Nyala, nella regione del Darfur (Sudan occidentale): è il più grande del mondo (foto di Nino Leto).
Il Campo profughi di Nyala, nella regione del Darfur (Sudan occidentale): è il più grande del mondo (foto di Nino Leto).

Nel 2008 il Governo italiano ha speso 1.030 milioni di euro per le missioni militari e 826 milioni per la cooperazione allo sviluppo delle organizzazioni non governative e dell’ambito umanitario. Nel 2009, la spesa per le missioni è salita a 1.400 milioni di euro, mentre quella per la cooperazione è scesa a 411 milioni. Insomma, di fronte alle emergenze l’Italia si presenta sempre di più con la divisa.

Il dato emerge da un’analisi di Nino Sergi, presidente dell’Ong italiana Intersos.  “L’immagine che l’Italia sta proiettando all’estero”, scrive Nino Sergi, “evidenzia una netta preferenza per l’impegno militare rispetto alla cooperazione civile.

Naturalmente, il presidente di Intersos si riferisce solo alle divise impiegate in emergenze internazionali. Se si dovessero raffrontare semplicemente i bilanci della difesa e della cooperazione risulterebbe che “le nostre spese militari”, dice Farida Bena di Oxfam-Ucodep, “sono circa dieci volte maggiori rispetto all’aiuto pubblico allo sviluppo italiano”.

Tornando allo studio di Sergi, intitolato “Trend missioni militari e cooperazione allo sviluppo”, il responsabile di Intersos fa anche l’esempio specifico dell’Afghanistan: mentre i fondi per l’umanitario si sono aggirati intorno ai 50 milioni di euro, quelli per la missione militare sono costantemente lievitati, passando da poco più di 300 milioni del 2006 a oltre 450 milioni del 2009. Una situazione non molto diversa da quella della nostra presenza in Irak.

“La crescente e disorganica presenza militare anche in attività umanitarie e di cooperazione civile”, conclude Nino Sergi, “sta ‘inquinando’ lo spazio umanitario, quello da sempre basato sui principi di umanità, imparzialità, neutralità, indipendenza, non discriminazione che, per essere riconosciuto come tale dalla popolazione e quindi rispettato e tutelato, deve rimanere chiaramente riconoscibile, senza contaminazioni e strumentalizzazioni di alcun tipo”.

Luciano Scalettari
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