Il Burkina Faso e la crisi vista da vicino

Per ripensare il futuro del Sahel servono progetti che tengano conto delle risorse del territorio e delle reale esigenze delle popolazioni. Lvia sa come si fa e su chi poter contare

Percorsi autonomia e sviluppo

14/01/2013

Dott.ssa Ella Compaoré, nutrizionista. È impegnata con Lvia nel progetto di lotta alla malnutrizione infantile nella Regione Centro Ovest del Burkina Faso. Il progetto si svolge con Medicus Mundi Italia e il sostegno dell’ufficio umanitario dell’Unione Europea ECHO. Le attività termineranno a febbraio 2013. Successivamente, la Lvia prevede l’estensione dell’intervento nel 2013 per coprire tutti i distretti sanitari della regione.


Qual è l’impatto della carestia sulla popolazione in Burkina Faso?
«Il 2012 è stato un anno molto difficile per il paese. A causa delle piogge insufficienti nel corso della campagna agricola precedente, i raccolti sono stati deficitari e tutte le regioni, tutte le famiglie sono state colpite. Nella regione del Centro Ovest, dove Lvia opera con questo progetto di lotta alla malnutrizione infantile, le famiglie vivono di orticoltura e agricoltura di sussistenza ma nel 2012 la popolazione non ha avuto abbastanza cibo».

Quali sono i livelli di malnutrizione che avete riscontrato nella regione? 
«La Lvia con Medicus Mundi Italia opera in due distretti della regione, Réo e Nanoro. Abbiamo monitorato 100mila bambini dai 6 mesi ai 5 anni di età di cui 40.400 abbiamo verificato essere affetti da malnutrizione. Di questi, 400 sono colpiti in modo irreversibile da malnutrizione severa e 40mila sono affetti da malnutrizione moderata che, anche se non mette a repentaglio le loro vite, può causare gravi danni allo sviluppo psico-fisico».

Come verificate il livello di malnutrizione e quali sono gli effetti sul bambino? 
«Il metro di misurazione è il perimetro bracciale. In condizioni normali, in un bambino normalmente nutrito, il braccio misura tra i 13 e i 14 cm. Nel caso di malnutrizione moderata la misura è tra i 12 e 12,5 cm. Al di sotto è malnutrizione severa. Le conseguenze della malnutrizione sono irreversibili. I bambini malnutriti gravemente avranno un ritardo nella crescita, lo sviluppo intellettuale rischia di essere compromesso, non potranno raggiungere buoni risultati a scuola, saranno adulti con forti difficoltà nella vita lavorativa, che si affaticheranno facilmente nella vita di tutti i giorni. Non saranno mai realmente autonomi e dovranno essere presi in carico dalle famiglie e dalla società. Si ammaleranno spesso, saranno deboli. Le bambine che hanno sofferto di malnutrizione, quando cresceranno e diventeranno mamme partoriranno bambini piccoli, che cresceranno male. La malnutrizione avrà quindi delle conseguenze nel futuro, passerà da una generazione all’altra, nasceranno dei bambini meno sani. Nel caso della malnutrizione moderata la presa in carico deve essere immediata, per evitare che gli effetti siano irreversibili. In questa condizione, i bambini sono fortemente vulnerabili, a rischio di malattie, sono spesso malati. Il sistema immunitario è debole e hanno difficoltà di apprendimento».

Come state operando nel progetto in corso per la lotta alla malnutrizione infantile? 
«Si inizia con la formazione degli infermieri dei distretti sanitari e questi a loro volta, con il supporto del progetto e del personale specializzato, formano gli agenti sanitari locali. Gli agenti sanitari sono personale para-medico che vivono nelle comunità locali, sono inseriti nei villaggi e conoscono ogni famiglia, ogni bambino. Con loro realizziamo le visite bussando ad ogni porta. I bambini malnutriti vengono seguiti dagli agenti sanitari e sono accompagnati presso il Centro di Salute Comunitaria più vicino. Si tratta di Centri pubblici che servono in modo abbastanza capillare il territorio e che offrono cure ordinarie e di primo soccorso. Nei Centri, i bambini vengono curati e nutriti con la misola, una farina altamente ricostituente. I trattamenti sono totalmente gratuiti. Nella lotta alla malnutrizione la gratuità deve essere garantita perché le famiglie sono troppo povere per pagare le cure. Questa operazione vede una collaborazione con l’Unicef e con il Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite».
Qual è il valore aggiunto di queste attività per le comunità locali? 
«Il progetto è totalmente inserito nel tessuto sociale e nel sistema sanitario locale. Abbiamo formato 120 infermieri e a cascata 372 agenti sanitari di villaggio, che garantiscono un’azione di prossimità con la popolazione e un monitoraggio capillare dei casi di malnutrizione. Facciamo degli incontri preparatori, delle dimostrazioni, si spiega come informare la popolazione, come misurare il perimetro bracciale, tutti parlano lo stesso linguaggio. L’obiettivo è accompagnare le comunità locali affinché possano meglio gestire crisi future.Da questo punto di vista il progetto è innovativo perché nell’emergenza stiamo costruendo percorsi di autonomia e sviluppo, stiamo lavorando con le comunità per rendere il sistema indipendente».

Quali sono i piani per il 2013?   
«Dobbiamo continuare perché il livello di insicurezza alimentare è ancora allarmante. Oggi le famiglie stanno raccogliendo i prodotti dei loro campi perché la campagna agricola del 2012 è andata meglio ma tra poco non avranno più risorse, dovranno pagare i debiti accumulati nell’anno, pagare la scuola, le cure mediche, ecc. Nel campo della lotta alla malnutrizione infantile stiamo progettando nuove attività, sempre con il sostegno di ECHO, per ampliare il raggio di azione in tutti e 5 i distretti della regione, come ci è stato richiesto dalle autorità locali. Realizzeremo inoltre delle dimostrazioni culinarie affinché le donne imparino ad auto-produrre le farine nutrienti a partire da cibi locali, come il miglio e l’arachide. Molti bambini oggi sono colpiti da anemia, malaria e altre malattie legate alle povere proprietà nutritive dell’alimentazione quotidiana». 

François Paul Ramdé, direttore dell’Union Fraternelle des Croyants (UFC). L’UFC è una ong burkinabè che opera nella Regione Sahel, regione del nord del Burkina Faso. Fortemente impegnata nel campo della sicurezza alimentare e dello sviluppo locale, l’UFC è tra i principali partner della LVIA nell’area.


Qual è stata l’entità di questa carestia nel paese e quali le cause? 
«La carestia nel 2012 è stata drammatica, tanto che il governo del Burkina Faso ha lanciato un appello alla comunità internazionale per l’aiuto nell’emergenza. Nel paese c’è un’unica campagna agricola, che va da giugno a settembre e che coincide con la stagione delle piogge. Nel 2011 le piogge sono mancate, i raccolti sono stati scarsi e nel 2012 le famiglie hanno terminato nel giro di poco tempo le scorte alimentari. Contemporaneamente, il prezzo degli alimenti sul mercato è aumentato e la popolazione non ha potuto comprare il cibo.  Per effetto del riscaldamento globale, le piogge sono sempre più scarse. Quando si parla di cambiamento climatico, in Europa si pensa all’inquinamento, ma qui significa mancanza di pioggia, fallimento delle campagne agricole, carestia».

Gli aiuti per far fronte alla carestia sono stati importanti, la FAO ha dichiarato che l’impegno della comunità internazionale nel 2012 ammonta a 1 miliardo di euro. La crisi è sconfitta? 
«I problemi e gli effetti della carestia non possono essere risolti in un solo anno, serve una strategia di ampio respiro a lungo termine che affronti le varie cause del problema».

Quali dovrebbero essere gli assi di questa strategia?
«Acqua, agricoltura, infrastrutture stradali le priorità. È necessario lavorare sulle infrastrutture idriche per portare l’acqua nei villaggi che ancora ne sono privi. Ciò significa valorizzare e manutenere le opere già esistenti ma anche costruirne di nuove, ponendo attenzione a trovare un equilibrio tra le infrastrutture di ampia scala, come le grandi ritenute d’acqua, e le opere più piccole che in molti casi possono essere più efficaci perché permettono un controllo e una gestione diretta da parte delle comunità locali, che ne diventano responsabili.  Importante, in quest’ottica, lavorare sull’accompagnamento delle comunità per aumentare la loro capacità di gestire tali infrastrutture. In agricoltura, dobbiamo sviluppare degli adattamenti ai cambiamenti climatici, che impongono l’adozione di altri processi e di altre tecniche. Infine, è necessario collegare il mercato interno con strutture stradali più capillari ed efficienti. Molte aree sono ancora isolate, soprattutto nel nord. Nelle aree deficitarie, i prezzi del cibo sono molto più alti perché il costo dei trasporti è notevole».

In che modo possiamo migliorare le capacità dei produttori a far fronte ai periodi di siccità ormai cronica nel paese? 
«Ci sono dei saperi locali da valorizzare e occorre lavorare su questi piuttosto che importare delle tecnologie che provocano dipendenza dall’aiuto. Pensiamo al caso dei semi. Personalmente sono contrario all’introduzione di varietà di sementi non prodotte localmente, dalle qualità d’importazione agli Ogm. In Burkina Faso stiamo assistendo a questo fenomeno, l’acquisto dei semi oggi è sovvenzionato dallo Stato ma questa soluzione non è sostenibile per il futuro e quando le sovvenzioni finiranno cosa succederà ai produttori che non potranno acquistarli? Nel paese ci sono dei centri di ricerca agricola che fanno un ottimo lavoro, producono dei semi adatti al contesto locale. E’ quindi fondamentale supportare questo tipo di ricerca e nello stesso tempo migliorare le capacità tecniche dei contadini, formandoli all’utilizzo di nuovi strumenti e processi».

Come associazione siete coinvolti nell’elaborazione delle strategie per superare questa crisi?
«Le decisioni sulle strategie non sono sempre partecipative: promuovere una maggiore partecipazione delle associazioni locali, dalle ong alle associazioni contadine, aiuterebbe la concezione di piani d’azione più efficaci. I progetti di sviluppo devono essere coerenti e non possono essere "calati" dall’alto senza prendere in considerazione il piano locale, altrimenti l’intervento rischia di essere non solo inefficace ma di fare danni, perché rende la popolazione più dipendente di prima».

Cosa impariamo da questa crisi? 
«Nel 2012 le piogge sono arrivate e la campagna agricola è andata meglio, ma non dimentichiamoci che il Sahel è un’area a rischio, non possiamo permetterci di dimenticare le cause della gravissima carestia che si è abbattuta sul paese. Dobbiamo andare avanti sulla base di strategie di medio-lungo termine».

Alberto Picci
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