Il Burkina Faso e la crisi vista da vicino

Per ripensare il futuro del Sahel servono progetti che tengano conto delle risorse del territorio e delle reale esigenze delle popolazioni. Lvia sa come si fa e su chi poter contare

Un sostegno alla "resistenza"

14/01/2013

Ora che le piogge di dicembre hanno portato un lieve sollievo alle popolazioni del Sahel colpite nel corso del 2012 da una carestia con pochi precedenti, nonostante l'emergenza non sia passata, c'è almeno il tempo di fare un bilancio. Dal Senegal al Chad, in un'intera striscia del continente africano, niente e nessuno è stato risparmiato. Morale, 18 milioni di persone colpite da malnutrizione cronica che si vanno ad aggiungere a quel 10% di popolazione che ne soffre già: l'Unicef completa il quadro con stime che parlano di 1 milione di bambini con meno di 5 anni la cui vita è in pericolo, e altri tre milioni sarebbero affetti da forme di malnutrizione che, seppure non mortali, incidono in modo determinante sullo sviluppo psico-fisico aumentando il rischio di contrarre malattie a quel punto sì, nuovamente, pericolose. Principale fattore scatenante della carestia, la siccità: in questa parte di mondo, è evidente, non costituisce una novità, ma in modo così massiccio e persistente come avvenuto nel 2012 ha comportato un calo della produzione agricola di sussistenza fino all'80%. E ciò, in un contesto che vive di quello che coltiva, significa una cosa sola: fame. Alla siccità, in maniera più o mena diretta, si sono aggiunti la scarsità di foraggio a disposizione del bestiame, il rialzo dei prezzi complessivi e la diminuzione delle "rimesse" da parte degli emigrati. D'altro canto va detto che in emergenze di questa entità, bisogna riuscire a calibrare lucidamente le risorse da impegnare in progetti a breve termine, quelli che per intendersi consentono di tamponare le situazioni che non possono essere rimandate, ad altri di più ampio respiro. È anche in un'ottica più lungimirante che vanno affrontate le calamità così come ricorda il direttore generale della Fao che, commentando lo stanziamento della comunità internazionale di oltre un miliardo di euro, ha specificato come di debba «riuscire a rendere le condizioni di vita delle popolazioni più resistenti alle crisi».

Tra i Paesi investiti con maggiore veemenza dalla carestia c'è il Burkina Faso, dove l'organizzazione di cooperazione internazionale Lvia opera dal 1972 con programmi di sviluppo rurale e interventi di tutela ambientale. Proprio la conoscenza capillare del territorio è ciò che rende efficaci le azioni dell'associazione: bussando letteralmente porta per porta anche nei villaggi "dimenticati", affidandosi ad operatori locali formati in linea con le strategie di intervento messe a punto, Lvia mira a individuare i casi più bisognosi di cure, indirizzando chi è a forte rischio di malnutrizione verso strutture sanitarie adeguate. Dalla prevenzione alla cura, dalla distribuzione degli integratori agli screening, ogni spesa è carico di Lvia che con la campagna sms solidale "La carestia non è una dieta" intende proseguire su due filoni in particolare: da un lato la cura della malnutrizione infantile attraverso l'aggiornamento professionale e la formazione del personale sanitario, la valutazione di massa della popolazione infantile e l'acquisto di farmaci e altre spese mediche per i casi più gravi; dall'altra la prevenzione della malnutrizione e il supporto alla produzione agricola attraverso l'acquisto e la distribuzione delle sementi, l'accompagnamento alla produzione delle comunità agricole locali e la formazione per la creazione di unità artigianali. Va precisato che in Burkina Faso la speranza di vita alla nascita è di 54 anni con un tasso di mortalità infantile di circa 80 decessi di bambini con meno di un anno di vita su 1000 nati vivi. Nelle prossime pagine, le testimonianze di referenti Lvia in Burkina Faso aiutano a comprendenre meglio il quadro di riferimento.

Alberto Picci
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