20/06/2013
Albert Einstein lo era. Giuseppe Garibaldi, per un certo periodo della sua vita, lo è stato. Così come Enrico Fermi o Victor Hugo. Tutti rifugiati, i "grandi sopravvissuti dei nostri tempi" come li definì il segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan quando, nel 2001, fu istituita la Giornata mondiale del rifugiato.
La scelta del giorno e dell'anno non furono affatto casuali. Il 20 giugno ricorreva già la Giornata africana del rifugiato e non è mai superfluo sottolineare quanti profughi africani siano stati costretti, nel corso della storia, a fuggire dal proprio Paese a causa di guerre o persecuzioni motivate da religione, razza o credo politico.
Anche il 2001 aveva un forte valore simbolico: 50 anni prima infatti, nel 1951, era stata siglata la Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati e i principi che ne regolano, a livello internazionale, la protezione. Una giornata fortemente voluta dall'Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) e dalle tante organizzazioni non governative impegnate nella protezione e nell'assistenza ai rifugiati, perché l'opinione pubblica internazionale venisse sensibilizzata sul problema.
"In un'epoca di prosperità senza precedenti per alcuni" diceva sempre Annan nel 2001, "i rifugiati sono consapevoli che la soglia dell'accoglienza si sta restringendo. Le Nazioni che una volta aprivano le porte ai rifugiati ora le chiudono, mentre i Paesi poveri, che non potrebbero permetterselo, si fanno carico di un fardello sempre più grande".
Sono parole che potrebbero essere state pronunciate ieri, a scorrere i dati contenuti nel Rapporto 2013 sui rifugiati dell'UNHCR. Nel 2012 l'Alto commissariato ha calcolato 45 milioni di rifugiati in tutto il mondo, un numero che non veniva più raggiunto dal 1994.
Se non sorprende troppo che più della metà dei rifugiati nel mondo proviene da Paesi in guerra (Afghanistan, Irak, Siria, Somalia e Sudan), fa decisamente riflettere il dato riguardante i Paesi ospitanti: 4 rifugiati su 5 trovano ospitalità e protezione in Paesi in via di sviluppo, e ben 2,5 milioni di rifugiati sono stati accolti nei 49 Paesi più poveri della Terra.
Un piccolo profugo siriano di 3 mesi nel campo di Marj el Kok, Libano, 19 giugno 2013 ©Fondazione Avsi
Ma la fredda logica dei numeri spesso fatica a restituire la dimensione umana e il vissuto personale che si cela dietro ogni statistica, dietro ogni storia che ha costretto un essere umano a diventare un rifugiato.
E forse, in una Giornata voluta per sensibilizzarci sul tema dell'accoglienza ai rifugiati, per provare a comprendere basterebbe osservare una foto scattata nel campo profughi di Marj el Kok, nella Valle della Bekaa in Libano, dove ormai centinaia di migliaia di persone hanno trovato rifugio dalla sanguinosa guerra civile siriana.
Ci sono tantissimi bambini nei campi profughi, alcuni praticamente neonati come quello immortalato nella foto. Loro sono quelli "fortunati", quelli che sono riusciti a fuggire dall'orrore. Altri invece non ce l'hanno fatta: sono 6500 i bambini morti in Siria negli ultimi due anni, secondo le stime più recenti. "La tenda sembra enorme, ma in verità è lui che è piccolo, piccolissimo" dice Marco Perini, responsabile Avsi in Libano. "Avrà circa tre mesi e vederlo gattonare dal buio dell'interno verso la luce all'esterno fa un certo effetto. Viene da chiedersi: si accorgerà che lui, oggi 19 giugno 2013, è lì in un villaggio disperso della West Bekaa perché una guerra lo ha cacciato da casa sua?".
(Per rispondere all'emergenza dei profughi in Libano e Giordania, provenienti dalla Siria, Fondazione Avsi ha lanciato una campagna di raccolta fondi, che durerà fino al 31 agosto 2013: #10forSyria. Per maggiori informazioni e per donare consultare il sito: www.avsi.org)
Francesco Rosati