Rifugiati, sopravvissuti ai nostri tempi

Il 20 giugno ricorre la Giornata mondiale del rifugiato, un'occasione per riflettere sul sistema dell'accoglienza in Italia e nel mondo: come funziona e come invece dovrebbe funzionare

Il sistema di accoglienza in Italia

20/06/2013

Nel 2012 le domande di asilo presentate in Italia sono state 17 mila. Conclusa la fase emergenziale legata alle Primavere arabe nel Nordafrica, si è registrato un dimezzamento delle domande d'asilo rispetto al 2011. Nonostante ciò e a dispetto delle norme europee, che impongono di garantire forme materiali di accoglienza ai richiedenti asilo privi di mezzi di sostentamento, il sistema italiano fa acqua da tutte le parti.

In Italia un richiedente asilo dovrebbe essere accolto all'interno del Sistema SPRAR (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati), un sistema di accoglienza diffusa che faciliti l'integrazione degli ospiti gestito dal ministero dell'Interno in convenzione con l'Anci. Ma i 151 Centri di accoglienza offrono solo 3700 posti e nemmeno il preventivato aumento a 5000 posti sarebbe sufficiente a far fronte alla domanda.

Chi ha presentato domanda d'asilo ma non trova posto nello SPRAR viene accolto nei CARA (Centri di accoglienza per richiedenti asilo), centri gestiti direttamente dal Viminale attraverso le Prefetture.

Ma la legge prevederebbe una permanenza nei CARA per un periodo non superiore ai 35 giorni, in attesa del passaggio nello SPRAR o solo nei casi in cui un richiedente asilo è stato fermato per aver eluso i controlli alla frontiera.

Infine, nei casi in cui né tramite il circuito SPRAR né attraverso il sistema dei CARA sia stato assegnato un posto al richiedente asilo, la legge prevede che le prefetture gli forniscano un contributo economico quotidiano. In realtà, la prassi nella gestione dell'accoglienza ai richiedenti asilo in Italia è molto, molto distante da quanto previsto dalla legge.

Secondo la legge, i CARA dovrebbe essere strutture adibite come detto a una permanenza temporanea e circoscritta nel tempo. Questi grandi complessi, infatti, sono stati allestiti in aree un tempo adibite a ben altre funzioni rispetto all'accoglienza dei richiedenti asilo: container e prefabbricati in ex zone industriali o in ex aree aeroportuali militari. Anziché restarvi al massimo 35 giorni, molte persone vi rimangono anche più di un anno.

Le principali criticità, quindi, sono legate alle tempistiche di accesso, alla mancanza di un'adeguata informazione e, soprattutto, alla mancata tutela dei diritti. Il diritto all'accoglienza, infatti, dovrebbe scattare nel momento della presentazione della domanda d'asilo e non, come troppo spesso accade, quando questa viene verbalizzata in questura. E anche quando la richiesta arriva alla Prefettura, se non ci sono posti disponibili i richiedenti sono posti in una lista d'attesa e lasciati per settimane o mesi al proprio destino senza alcuna forma di assistenza, tanto meno economica.

Per i rifugiati e i titolari di protezione sussidiaria e umanitaria la situazione è, se possibile, persino più problematica. Dopo il riconoscimento della protezione hanno la possibilità – e non il diritto, garantito dalla legge – di accedere allo SPRAR o nei Centri di seconda accoglienza gestiti dai Comuni, che però hanno a disposizione solo 1000 posti. Se è pur vero che la protezione dà diritto di cercare un lavoro e di godere degli stessi diritti sociali di un cittadino italiano, per molti la mancanza di un tetto è il primo e forse più grave ostacolo all'integrazione: spesso infatti molti rifugiati sono costretti ad accamparsi in strutture di fortuna, in luoghi fatiscenti.

Francesco Rosati
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