Tre milioni di madri rischiano la vita

Ogni giorno, in tutto il mondo, circa 800 donne muoiono a causa delle complicazioni collegate alla gravidanza o al parto: il 99% delle morti avviene nei Paesi in via di sviluppo

Risultati e obiettivi

17/04/2013

Dottor Germano, in cosa consiste il Programma DREAM? Su quale emergenza sanitaria è concentrato?

«DREAM è un programma per la prevenzione e il trattamento dell’AIDS in Africa. È un programma avviato nel 2002 in Mozambico e che nel giro di pochi anni si è esteso in altri Paesi africani: attualmente coinvolge anche Malawi, Tanzania, Kenya, Nigeria, Repubblica Democratica del Congo, Guinea Bissau, Repubblica di Guinea, Camerun, Angola. Uno degli obiettivi fondamentali del programma è salvare la vita delle madri e dei loro figli, dei nascituri, perché questa ci è sembrata fin dall’inizio la strategia più efficace per arrivare all’eliminazione del virus dell’HIV. Le persone con il virus in Africa sono tantissime, curare tutti è impossibile, per questo è preferibile concentrarsi su iniziative efficaci, che possano realmente azzerare la trasmissione del virus».

L’obiettivo del progetto MSD for Mothers è la riduzione della mortalità materna. In che modo il Programma DREAM può contribuire a questo risultato?
«In Africa il tasso di diffusione dell’HIV è elevatissimo: in alcuni Paesi la prevalenza arriva al 14-15% e le donne sono chiaramente le più colpite. Parliamo di giovani donne in età fertile che rimangono incinte e che affrontano la gravidanza sotto la minaccia dell’HIV, fattore che pregiudica la possibilità di far nascere un figlio sano ma anche di portare a termine la gravidanza e la stessa sopravvivenza delle madri. Una donna che arriva al parto con un’infezione acuta nell’organismo rischia seriamente di morire. Ecco perché trattare le donne in gravidanza con la triplice terapia antiretrovirale, la stessa utilizzata nei Paesi occidentali, permette di raggiungere due obiettivi importantissimi: consente alle donne di sopravvivere al parto, riducendo moltissimo la mortalità materna, e fa nascere il bimbo sano, ponendo le basi per una generazione senza HIV. È un fatto ampiamente provato, sia da studi scientifici che dalla nostra esperienza sul campo, che somministrando la terapia antiretrovirale alle donne sieropositive in gravidanza si blocca la trasmissione del virus al bambino, mentre le madri arrivano al parto con un tasso d’infezione quasi azzerato e possono quindi affrontarlo senza problemi».

Come si articola in concreto questo Programma? Quali sono le attività che vengono sviluppate?

«Il fulcro è l’assistenza continuativa alle donne in gravidanza e anche dopo la nascita del bambino. Questo comporta una serie di iniziative. L’azione fondamentale è la presa in carico delle donne che afferiscono ai Centri per la maternità e che vengono sottoposte a test per accertarne la sieropositività. A quel punto, in presenza di infezione, è fondamentale accompagnare la donna lungo tutto l’itinerario della gravidanza assicurandosi che aderisca alla terapia antiretrovirale. Tutto questo presuppone altre azioni: formazione del personale sanitario, attività d’informazione alle future madri, supporto anche di tipo logistico, un sistema informatico per seguire tutte le donne assistite. Ma il sostegno non si concretizza solo nel trattamento farmacologico: prevede l’assistenza domiciliare, supporto alla famiglia, collaborazione di altre donne che seguono la donna in gravidanza a casa aiutandola ad assumere la terapia. Inoltre è importante il supporto nutrizionale: queste donne in gravidanza con HIV sono piuttosto debilitate, quindi per arrivare a un parto sicuro insieme alle terapie hanno bisogno di alimentazione equilibrata e acqua filtrata. Il tutto è completamente gratuito, aspetto tutt’altro che scontato in Africa e niente affatto secondario: la gratuità facilita l’adesione delle donne a tutto il percorso terapeutico, mentre eventuali costi potrebbero metterla a rischio. Altra cosa da sottolineare è che il programma va oltre la gravidanza e la nascita del bambino. Purtroppo in quelle aree del mondo la vita dei neonati è a rischio e non avrebbe senso far nascere un bimbo sano e poi perderlo per una polmonite o una diarrea. Quindi noi ci concentriamo sulla salute del bambino fino al primo anno di vita e questo comporta l’educazione della madre e la formazione degli operatori sanitari».

Quali sono i risultati ottenuti fino a oggi? E le aspettative e gli sviluppi per il futuro?
«I risultati sono stati subito strabilianti e questo peraltro ha generato un contagio virtuoso nel senso che dopo i primi successi moltissimi si sono rivolti a noi per adottare la stessa strategia in altre realtà. Gli outcome del Programma DREAM sono la riduzione drastica della mortalità materna, la riduzione o azzeramento della trasmissione dell’HIV da madre a figlio e la riduzione complessiva del tasso di infettività nella popolazione globale. L’impatto positivo di questi risultati sull’equilibrio delle comunità è enorme. Salvare una madre significa anche non vedere compromesso il futuro degli altri figli, oltre che la vita del nascituro. Uno dei grandi problemi dell’Africa è la generazione di orfani creati dall’HIV. Evitare che questo accada ha enormi benefici di tipo sociale ed economico. Altro risultato, scientificamente dimostrato, è che maggiore è il numero delle persone sieropositive che si curano, minore è il numero delle persone che si contagiano e il tasso di infettività complessivo di una comunità si abbassa, avvicinando l’obiettivo di “arrivare a zero” perseguito dalle Nazioni Unite. Infine c’è un altro aspetto che merita di essere sottolineato: questo tipo di approccio con la tri-terapia permette alle madri di allattare e questa è una cosa importantissima perché una donna che non allatta subisce lo stigma della comunità».

Come si è sviluppata, su queste basi la partnership con un attore privato come MSD?

«Il Programma DREAM è operativo in Mozambico fin dal 2002. La partnership stipulata quest’anno con MSD Italia, che ha adottato il nostro Programma nell’ambito del progetto MSD For Mothers, ci permette un enorme salto di qualità. Fino a oggi si è trattato di un Programma circoscritto solo ad alcune realtà del Mozambico. Grazie al sostegno di MSD adesso possiamo puntare all’obiettivo di estendere questo Programma a tutto il Paese, sulla base di un accordo con il Ministero della Sanità del Mozambico, con il coinvolgimento delle strutture sanitarie pubbliche. Lavoreremo affiancando le strutture locali per ottenere gli stessi risultati su scala nazionale e non solo nei Centri da noi gestiti. Per ora il progetto firmato con il Ministero prevede l’implementazione di questo programma in 11 Centri con la presa in carico di 5.700 donne in gravidanza nell’arco di tre anni. Credo che supereremo abbondantemente questo numero».

Quali sono gli obiettivi a lungo termine di questo Programma? 
«L’obiettivo finale è mettere le strutture e gli operatori locali in condizione di “fare da soli”. Per arrivare a questo risultato non è sufficiente creare delle strutture in cui si danno le medicine, ci vuole un approccio che segua le donne in tutto il loro percorso, che le accompagni, che le sostenga anche risolvendo i vari problemi che si presentano, che siano di natura sanitaria, che siano di natura sociale o psicologica. Il valore aggiunto di questo Programma è che non si basa su un approccio minimalista, ma punta a riprodurre in quei Paesi le stesse strategie di contrasto adottate in Occidente, lavorare sul piano della cultura delle popolazioni, dando piena fiducia agli operatori e alle popolazioni locali».

Alberto Picci
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