17/04/2013
Dottor Germano, in cosa consiste il Programma DREAM? Su quale emergenza
sanitaria è concentrato?
«DREAM è un programma per la prevenzione e il trattamento
dell’AIDS in Africa. È un programma avviato nel 2002 in Mozambico e che nel
giro di pochi anni si è esteso in altri Paesi africani: attualmente coinvolge
anche Malawi, Tanzania, Kenya, Nigeria, Repubblica Democratica del Congo,
Guinea Bissau, Repubblica di Guinea, Camerun, Angola.
Uno degli obiettivi fondamentali del programma è salvare la
vita delle madri e dei loro figli, dei nascituri, perché questa ci è sembrata
fin dall’inizio la strategia più efficace per arrivare all’eliminazione del
virus dell’HIV. Le persone con il virus in Africa sono tantissime, curare tutti
è impossibile, per questo è preferibile concentrarsi su iniziative efficaci,
che possano realmente azzerare la trasmissione del virus».
L’obiettivo del progetto MSD for Mothers è la riduzione
della mortalità materna. In che modo il Programma DREAM può contribuire a
questo risultato?
«In Africa il tasso di diffusione dell’HIV è elevatissimo: in
alcuni Paesi la prevalenza arriva al 14-15% e le donne sono chiaramente le più
colpite. Parliamo di giovani donne in età fertile che rimangono incinte e che
affrontano la gravidanza sotto la minaccia dell’HIV, fattore che pregiudica la
possibilità di far nascere un figlio sano ma anche di portare a termine la
gravidanza e la stessa sopravvivenza delle madri. Una donna che arriva al parto
con un’infezione acuta nell’organismo rischia seriamente di morire. Ecco perché
trattare le donne in gravidanza con la triplice terapia antiretrovirale, la
stessa utilizzata nei Paesi occidentali, permette di raggiungere due obiettivi
importantissimi: consente alle donne di sopravvivere al parto, riducendo
moltissimo la mortalità materna, e fa nascere il bimbo sano, ponendo le basi
per una generazione senza HIV. È un fatto ampiamente provato, sia da studi
scientifici che dalla nostra esperienza sul campo, che somministrando la
terapia antiretrovirale alle donne sieropositive in gravidanza si blocca la
trasmissione del virus al bambino, mentre le madri arrivano al parto con un tasso
d’infezione quasi azzerato e possono quindi affrontarlo senza problemi».
Come si articola in concreto questo Programma? Quali sono
le attività che vengono sviluppate?
«Il fulcro è l’assistenza continuativa alle donne in
gravidanza e anche dopo la nascita del bambino. Questo comporta una serie di iniziative.
L’azione fondamentale è la presa in carico delle donne che afferiscono ai
Centri per la maternità e che vengono sottoposte a test per accertarne la
sieropositività. A quel punto, in presenza di infezione, è fondamentale
accompagnare la donna lungo tutto l’itinerario della gravidanza assicurandosi
che aderisca alla terapia antiretrovirale. Tutto questo presuppone altre
azioni: formazione del personale sanitario, attività d’informazione alle future
madri, supporto anche di tipo logistico, un sistema informatico per seguire
tutte le donne assistite. Ma il sostegno non si concretizza solo nel
trattamento farmacologico: prevede l’assistenza domiciliare, supporto alla
famiglia, collaborazione di altre donne che seguono la donna in gravidanza a
casa aiutandola ad assumere la terapia. Inoltre è importante il supporto
nutrizionale: queste donne in gravidanza con HIV sono piuttosto debilitate,
quindi per arrivare a un parto sicuro insieme alle terapie hanno bisogno di
alimentazione equilibrata e acqua filtrata. Il tutto è completamente gratuito,
aspetto tutt’altro che scontato in Africa e niente affatto secondario: la
gratuità facilita l’adesione delle donne a tutto il percorso terapeutico,
mentre eventuali costi potrebbero metterla a rischio.
Altra cosa da sottolineare è che il programma va oltre la
gravidanza e la nascita del bambino. Purtroppo in quelle aree del mondo la vita
dei neonati è a rischio e non avrebbe senso far nascere un bimbo sano e poi
perderlo per una polmonite o una diarrea. Quindi noi ci concentriamo sulla
salute del bambino fino al primo anno di vita e questo comporta l’educazione
della madre e la formazione degli operatori sanitari».
Quali sono i risultati ottenuti fino a oggi? E le
aspettative e gli sviluppi per il futuro?
«I risultati sono stati subito strabilianti e questo peraltro
ha generato un contagio virtuoso nel senso che dopo i primi successi moltissimi
si sono rivolti a noi per adottare la stessa strategia in altre realtà. Gli outcome del Programma DREAM sono la
riduzione drastica della mortalità materna, la riduzione o azzeramento della
trasmissione dell’HIV da madre a figlio e la riduzione complessiva del tasso di
infettività nella popolazione globale. L’impatto positivo di questi risultati
sull’equilibrio delle comunità è enorme. Salvare una madre significa anche non
vedere compromesso il futuro degli altri figli, oltre che la vita del
nascituro. Uno dei grandi problemi dell’Africa è la generazione di orfani
creati dall’HIV. Evitare che questo accada ha enormi benefici di tipo sociale
ed economico. Altro risultato, scientificamente dimostrato, è che maggiore è il
numero delle persone sieropositive che si curano, minore è il numero delle
persone che si contagiano e il tasso di infettività complessivo di una comunità
si abbassa, avvicinando l’obiettivo di “arrivare a zero” perseguito dalle
Nazioni Unite. Infine c’è un altro aspetto che merita di essere sottolineato:
questo tipo di approccio con la tri-terapia permette alle madri di allattare e
questa è una cosa importantissima perché una donna che non allatta subisce lo
stigma della comunità».
Come si è sviluppata, su queste basi la partnership con
un attore privato come MSD?
«Il Programma DREAM è operativo in Mozambico fin dal 2002. La
partnership stipulata quest’anno con MSD Italia, che ha adottato il nostro Programma
nell’ambito del progetto MSD For Mothers, ci permette un enorme salto di
qualità. Fino a oggi si è trattato di un Programma circoscritto solo ad alcune
realtà del Mozambico. Grazie al sostegno di MSD adesso possiamo puntare
all’obiettivo di estendere questo Programma a tutto il Paese, sulla base di un
accordo con il Ministero della Sanità del Mozambico, con il coinvolgimento
delle strutture sanitarie pubbliche. Lavoreremo affiancando le strutture locali
per ottenere gli stessi risultati su scala nazionale e non solo nei Centri da
noi gestiti. Per ora il progetto firmato con il Ministero prevede
l’implementazione di questo programma in 11 Centri con la presa in carico di 5.700
donne in gravidanza nell’arco di tre anni. Credo che supereremo abbondantemente
questo numero».
Quali sono gli obiettivi a lungo
termine di questo Programma?
«L’obiettivo finale è mettere le
strutture e gli operatori locali in condizione di “fare da soli”. Per arrivare
a questo risultato non è sufficiente creare delle strutture in cui si danno le
medicine, ci vuole un approccio che segua le donne in tutto il loro percorso,
che le accompagni, che le sostenga anche risolvendo i vari problemi che si
presentano, che siano di natura sanitaria, che siano di natura sociale o
psicologica. Il valore aggiunto di questo Programma è che non si basa su un
approccio minimalista, ma punta a riprodurre in quei Paesi le stesse strategie
di contrasto adottate in Occidente, lavorare sul piano della cultura delle popolazioni,
dando piena fiducia agli operatori e alle popolazioni locali».
Alberto Picci