03/04/2011
In Francia
ce l’hanno già in 800 mila. Si chiama “Passaporto del volontariato”: è un
documento personale che attesta le esperienze trascorse all’interno di una
associazione di volontariato.
Introdotto in via sperimentale nel 2007 su iniziativa della rete nazionale
di volontariato “France Bénévolat”, questo libretto di una decina di
pagine certifica i percorsi compiuti e
le abilità che il volontario ha acquisito nelle organizzazioni no-profit. E’
una specie di curriculum specializzato nelle attività prestate a titolo
gratuito in organizzazioni e associazioni.
A Venezia, alla Conferenza sul volontariato,
organizzata dal Ministero del lavoro e
delle politiche sociali, svoltosi dal 31 marzo al primo di aprile, Susanna
Szabo, vicepresidente di France Bénévolat, membro del consiglio direttivo del
Cev (Centro europeo del volontarato) ha rilanciato il progetto di passaporto
per tutti i Paesi del continente. «Si tratta di uno strumento, già
sperimentato in Svizzera e in altri Paesi europei, che si è dimostrato utile
per valorizzare le esperienze dei volontari
e che sta diventando spendibile dai giovani per accedere al mercato del
lavoro», spiega Szabo. «Non è ancora una certificazione con valore legale, come
potrebbe essere un diploma scolastico, ma una credenziale sempre più
appetita da aziende ed enti, perché aver lavorato dentro un’associazione di
volontariato significa aver acquisito competenze relazionali che si rivelano
fondamentali in molte attività professionali».
In Francia il movimento del terzo settore è
una realtà importante con una tradizione
secolare, basti pensare che nella Costituzione francese del 1793 sta scritto:
“Il soccorso pubblico è un debito sacro”. Complessivamente
il volontariato
(tra associazioni, cooperative, gruppi di mutuo-aiuto e fondazioni)
conta dai
16 ai 18 milioni di aderenti. «L’associazionismo è di gran lunga il fenomeno più rilevante con un
milione di gruppi organizzati oggi attivi nel Paese», prosegue la
vicepresidente di France Bénévolat che evidenzia le novità principali di questo
settore: «In passato i nostri volontari si sono sempre distinti per una forte
carica ideologica. Prima che volontari, erano militanti. Oggi questo tratto
‘politico’ s’è assai ridotto, per lasciar spazio a una comune volontà di
realizzare qualcosa di concreto che migliori le condizioni di vita della
comunità. Altra tendenza è quella alla mobilità: si passa con molta più
disinvoltura da un’associazione a un’altra, oppure si aderisce contemporaneamente
a più sigle». La tessera “a vita” è, per i volontari transalpini, cosa d’altri tempi.
A cura di Alberto Laggia