15/11/2012
È il 26 ottobre del 2012: sul sito ViaggiareSicuri, gestito
nei contenuti dal Ministero degli Affari Esteri, si legge: «Si sconsigliano
viaggi a qualsiasi titolo in Burundi. Resta alto il livello di guardia dovuto
al persistere, non confermato, di bande ribelli. Si rammenta l'attacco armato
(novembre 2011) ove furono uccisi una suora croata e un cooperante italiano,
mentre una religiosa italiana risultò gravemente ferita. Non è tuttora remoto
il rischio di sequestri a danno degli occidentali. Si continuano a registrare
episodi, anche gravi, di attacchi ad opera di ignoti ai danni della popolazione
locale nelle regioni rurali, in particolare nelle aree a Nord Ovest della
Capitale al confine con Repubblica Democratica del Congo (Rukoko), tra voci non
sempre confermate sulla formazione di bande ribelli». Come a dire, del Burundi
si sa poco o nulla, dunque, meglio non rischiare.
E invece qualcosa del Paese africano si sa eccome, e non può far altro che aumentare la preoccupazione, seppure su un piano differente: stando alle stime diffuse dalla Cia sul "The world factbook", un bambino su due non frequenta la scuola, un adulto su 15 ha contratto il virus dell'Hiv, cibo, medicinali ed elettricità coprono una porzione modesta rispetto alle esigenze reali del Paese; e ancora, è la quinta economia più povera al mondocon un reddito annuo medio pro capite di 600 dollari (poco più di un dollaro e mezzo al giorno), il 68% della popolazione (dato risalente al 2002) vive sotto la soglia di povertà, l'età media è di 17 anni, il tasso di mortalità infantile con 60,32 bambini (ogni mille) deceduti entro il primo anno di vita. Insomma, la lista delle cose che non funzionano in Burundi è così lunga che, inevitabilmente, viene da domandarsi: ma noi, per uno Stato così, cosa possiamo fare?
L'esempio a cui ispirarsi lo fornisce il programma
"Brescia per il Burundi", un insieme di interventi di rete di
cooperazione decentrata in ambito di sviluppo sanitario, agricolo ed educativo
a favore delle province di Ngozi, Muyinga e Kirundo. È qui, in queste terre dimenticate,
che si sono riunite le energie, le speranze e l'impegno dei volontari e dei
sacerdoti Fidei Donum della
Diocesi Brescia e quelle di un manipolo di
Ong
bresciane capitanate da
Svi (Servizio volontario internazionale). Beneficiarie
prime del progetto, le donne e le famiglie contadine che vivono nelle comunità
rurali: alfabetizzazione, tutela dei diritti, educazione socio-sanitaria,
miglioramento delle condizioni abitative e ambientali, trasferimento di
competenze agro-zootecniche, produzione e trasformazione di prodotti agricoli,
lavoro in forma cooperativa.
Alberto Picci