20/11/2012
Treviso. Foto di Alberto Bevilacqua.
Parlano
in dialetto veneto; tifano per il Benetton e gli azzurri; pasteggiano
al kebab sotto casa, ma prima della pizza si fanno lo spritz in piazza
dei Signori. Sono sempre di più in tutt’Italia, lo dicono le
statistiche: gli studenti non italiani che risiedono nel nostro Paese sono già 711 mila. E
lo scorso anno scolastico il 42% degli studenti che non aveva la
cittadinanza era nato in Italia. Sono i ragazzi “italiani” figli di
migranti, la cosiddetta seconda generazione, i “2G”, che oggi
rivendicano i loro diritti…a buon diritto.
Ha
girato mezza penisola per la campagna “L’Italia sono anch’io”. Italiano
ventuduenne, figlio di marocchini, nato a Matera, ma residente da anni a
Treviso, Said Chaibi non ha dubbi sul fatto che il
diritto di cittadinanza sia decisivo per la conquista dell’eguaglianza
reale degli “stranieri” nati in Italia. «Lo jus soli significa
diritto al lavoro, a un reddito, alla casa, a un ambiente migliore.
Insomma, attorno alla cittadinanza si gioca tutto, nella prospettiva di
costruire, poi, una vera cittadinanza europea. Da noi il
razzismo non è sociale, ma burocratico, legislativo. La legge
sull’immigrazione è da riscrivere subito e il Comune di Treviso andrebbe
commissariato», dichiara. Se non cambierà nulla, Said ipotizza
l’aggravarsi del conflitto sociale: «La crisi economica creerà sempre
più disoccupati. Con le norme vigenti, scaduti i termini dei permessi di
soggiorno per tanti migranti che accadrà? Espulsioni in massa? In
Francia, dove gli immigrati sono già alla terza generazione, si è
arrivati alle banlieue. Che accadrà da noi tra un po’?».
Treviso. Foto di Alberto Bevilacqua.
Assieme a lui, a Treviso, nella sede di Cittadinanza attiva, coordinamento ato nel 2007 che raggruppa 40 associazioni di immigrati che vivono nella "Marca", c’è anche Francesca N’Danou,
18 anni, liceale, nata a Roma da genitori togolesi, residente a Treviso
da 13 anni. La giovane precisa: «Il problema non è solo legislativo.
Sono cittadina italiana da cinque anni, ma ancora m’accade che i
poliziotti mi fermino per la strada per chiedermi i documenti. E davanti
al passaporto qualcuno mi chiede ancora: ‘Ma è sicura di essere
italiana?’”, osserva, con rabbia, la giovane. “In realtà trovo che le
barriere siano prima di tutto sociali. Per questo si deve agire
anzitutto a livello locale per creare una società veramente multietnica:
dai quartieri dove viviamo, alle scuole che frequentiamo».
Le fa
eco Ayan Mohamed Nur, ventiduenne somala, in Italia da
16 anni, laureata con pieni voti ad Architettura a Venezia: «Mi sono
sempre trovata bene in Italia e nel Veneto, ma se fossi cittadina
italiana potrei proseguire gli studi e iscrivermi alla laurea
specialistica in Svezia». Con buona pace del diritto allo studio.
Alberto Laggia