Un polmone spirituale per tutta l'umanità

21/02/2013
La liturgia delle ceneri a Bamako, capitale del Mali (Reuters).
La liturgia delle ceneri a Bamako, capitale del Mali (Reuters).

«Un tesoro prezioso è presente nell’anima dell’Africa, in cui scorgo un immenso “polmone” spirituale per un’umanità che appare in crisi di fede e di speranza, grazie alle straordinarie ricchezze umane e spirituali dei suoi figli, delle sue culture multicolori». Così Benedetto XVI definiva il Continente nero e la sua Chiesa nel novembre del 2011, quando a Ouidah, in Benin, consegnava l’Esortazione apostolica “Africae Munus”, scritta in risposta al II Sinodo africano.

Sinodo che era stato dedicato al tema “Riconciliazione, giustizia e pace”, considerato cruciale nella terra dei conflitti, delle pandemie e delle più eclatanti contraddizioni e ingiustizie sociali. Un appuntamento che seguiva a distanza di 15 anni il primo Sinodo della Chiesa africana, voluto da Giovanni Paolo II nel 1994.

Era opportuno, al termine del primo decennio di questo terzo millennio», scriveva Benedetto XVI, «ravvivare la nostra fede e la nostra speranza per contribuire a costruire un’Africa riconciliata, attraverso le vie della verità e della giustizia, dell’amore e della pace». Il Papa ricordava anche il risultato più importante del Sinodo del 1994 nell’aver rivelato la «vitalità ecclesiale eccezionale e lo sviluppo teologico della Chiesa come Famiglia di Dio».

Il secondo Sinodo della Chiesa africana, poco più di una anno fa, ha “fotografato”, sia nel documento finale dei vescovi (“Alzati, Africa”) sia nella successiva Esortazione del Papa, le luci e le ombre del Continente: «La scienza e la tecnologia fanno passi da gigante», scrivevano i presuli nel documento finale, «per fare del nostro pianeta un luogo meraviglioso per tutti noi. Tuttavia situazioni tragiche di rifugiati, povertà estrema, malattie e fame uccidono tuttora migliaia di persone ogni giorno. In tutto questo, l’Africa è la più colpita. Essa è ricca di risorse umane e naturali, ma molti del nostro popolo sono lasciati a dibattersi nella povertà e nella miseria, in guerre e conflitti. Molto raramente tutto ciò è causato da disastri naturali. Piuttosto è dovuto in larga misura a decisioni e azioni umane», spesso per la «cospirazione criminale tra responsabili locali e interessi stranieri».

Il Papa aveva fatto propria l’analisi dell’episcopato africano, come pure l’indicazione che «riconciliazione e giustizia sono i due presupposti essenziali della pace». «La costruzione di un ordine sociale giusto», insisteva Benedetto XVI, «compete senza dubbio alla sfera politica. Tuttavia, uno dei compiti della Chiesa in Africa consiste nel formare coscienze rette e recettive delle esigenze della giustizia».

Insomma, una Chiesa, quella africana, in crescita, ricca di vitalità e di energie. I cattolici in Africa rappresentano circa il 17 per cento della popolazione totale. Se poi si considerano, nell’insieme, le diverse confessioni (protestanti, copti) il cristianesimo è la più diffusa religione del Continente. Ed è in crescita. Osservando i dati anno per anno, risulta che l’aumento dei cattolici si aggira sempre fra i quattro e i cinque milioni sull’anno precedente. Se erano 55 milioni nel 1978, oggi sono poco oltre i 160 milioni e la previsione è che arrivino a 230 milioni nel 2025.

Quanto al clero, mentre in Europa e in America i seminaristi sono diminuiti del 10 per cento negli ultimi cinque anni, in Africa sono aumentati del 14 per cento.

Tuttavia, la Chiesa d’Africa si trova anche a misurarsi con enormi problemi e contraddizioni: «Prima di tutto la povertà, uno dei frutti di un sistema ingiusto, sia continentale che internazionale», dice padre Michael Czerny, uno dei fondatori dell’Ajan, la rete dei gesuiti africani contro l’Aids. «Nel 2000, quando esordì l’Ajan, si diceva che l’Aids era la più grande minaccia dopo la tratta degli schiavi. Ma non si sottolineava, e non lo si fa neanche ora, quanto il suo flagello sia connesso all’indigenza: la stessa persona, se la togli dalla miseria, se è ben nutrita, se ha i farmaci, se è sensibilizzata al problema, corre rischi di gran lunga inferiori di essere colpita dall’Aids. Come Chiesa, possiamo fare molto: ogni parrocchia, ogni singolo cristiano può fare di più. Ma c’è bisogno di mezzi, uomini, energie, denaro. La Chiesa cerca di dare una risposta complessiva e integrale al dramma della povertà e delle sue conseguenze, come le pandemie».

Quanto alla via per risolvere il cronico problema del sottosviluppo, l’ha indicata ripetutamente il cardinale Peter Turkson – il più accreditato tra gli africani come “papabile” – presidente del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace: «Come ha scritto il Papa nell’enciclica “Caritas in veritate”, c’è la necessità di introdurre l’uomo come criterio di base dell’economia, della finanza, del progresso tecnologico. Uno sviluppo che non assiste lo sviluppo della persona non può essere considerato vero sviluppo. Va umanizzata l’economia, anche attraverso l’introduzione di un organismo mondiale che possa guidare un mondo sempre più globalizzato».

Altra grande questione è quella dei conflitti, alla quale si è affiancato negli ultimi anni il crescere delle tensioni con l’estremismo musulmano (specie in Somalia, Nigeria, Mali). «La Chiesa continua ad avvertire che l’islam del terrorismo non è voluto dalla gente, che piuttosto lo subisce. La tradizione africana è di un islam tollerante con cui si può dialogare», dice padre Efrem Tresoldi, direttore di Nigrizia. «Sui conflitti mi sembra quanto mai attuale il tema della riconciliazione dell’ultmo sinodo. Paesi come il Sudafrica, dove sono stato per 20 anni missionario, oppure come il Congo e il Sudan che hanno avuto guerre con milioni di vittime, non possono che percorrere la strada del perdono nella giustizia e nella verità».

«Come diceva Desmond Tutu», continua Tresoldi, «un Paese che non riconosce le verità scomode del passato e destinato a ripeterle. La Chiesa, col modello di Cristo, ha molto da dire su questo, e trova nella tradizione culturale africana facile accoglienza: perché la riconciliazione è intesa come riabilitazione della vittima insieme a quella di chi ha commesso il male, attraverso l’ammissione della colpa e il reintegro nella comunità».

Non mancano le ombre. È ancora il direttore di Nigrizia a sottolineare che «avrebbe bisogno di maggior slancio l’impegno per la giustizia e la pace. Occorre maggiore capacità di profezia. La Chiesa africana non può non denunciare tanto sperpero di risorse da parte delle elite al potere, specie in armamenti. L’impegno sui diritti umani e sul diritto di espressione è uno dei compiti che la Chiesa è chiamata ad affrontare. Nel sinodo è emerso, ma occorre che diventi pratica quotidiana».

Luciano Scalettari

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