05/02/2013
Dipinto di Beato Angelico, Museo diocesano di Cortona. Foto dell'agenzia Scala.
C’è un desaparecido, nelle sacre schiere angeliche, del quale si è conservato unicamente il nome: Uriele. L’ultimo avvistamento ufficiale risale al 745, quando papa Zaccaria, al termine del secondo Sinodo provinciale di Roma, decise di stroncare l’abuso del sedicente vescovo Adalberto, che invocava «i sette arcangeli che stanno davanti a Dio» con pratiche superstiziose e formule magiche. Decretò così l’interdetto a ogni devozione in suo onore, nonostante la Liturgia romana ne celebrasse ufficialmente la festa il 15 luglio: «È opportuno astenersi nelle preghiere pubbliche dal nominare tutti gli altri angeli, eccetto quei tre ammessi», fu la perentoria indicazione.
Negli atti del Sinodo si evidenziava che in effetti la Sacra Scrittura cita soltanto gli arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele, e dunque gli altri nomi invocati nella preghiera di Adalberto – fra i quali spiccava Uriele – sarebbero potuti essere angeli decaduti, demoni che nessuno doveva onorare con un atto di culto. Nel contempo si intendeva impedire che gli iconoclasti trovassero ulteriori giustificazioni per il loro impeto distruttivo delle icone raffiguranti immagini divine: «È illecito presentare gli angeli col corpo umano, essendo incorporei», scriveva per esempio il presbitero Xeniaias nel 754.
In realtà, dell’eletta compagnia dei sette principi angelici si trova riscontro in diversi testi ebraici, fra cui spicca un antico codice rinvenuto nel XVI secolo nella Biblioteca vaticana che, accanto alla triade Michele-Gabriele-Raffaele, cita Uriele e i meno conosciuti Barachiele, Gaudiele e Sealtiele.
Tutti questi nomi si potevano leggere, ancora agli inizi del Settecento, sotto altrettanti arcangeli raffigurati in un quadro della chiesa romana di Santa Maria della Pietà in piazza Colonna.
Quelle fonti attribuirebbero a Uriele un’importanza tale da inserirlo addirittura nella compagnia dei primi quattro spiriti che stanno sempre intorno al trono di Dio. Una preghiera del Talmud recitava infatti: «Nel nome del Signore, Dio d’Israele, sia Michele alla mia destra, Gabriele alla mia sinistra, dinanzi a me Uriele, dietro a me Raffaele, e sopra la mia testa la divina presenza di Dio». Il suo nome in ebraico deriva da hur (luce, fuoco) ed Elohim (Dio), a significare «luce di Dio» o «fuoco di Dio»: egli dunque sarebbe incaricato di portare all’umanità la conoscenza e la comprensione del Divino e perciò veniva anche definito angelo «della presenza» o «della salvezza».
Saverio Gaeta