1 aprile 2012 - Domenica delle Palme


Marco (14,1-15,47)
 
Quando fu mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio. Alle tre, Gesù gridò a gran voce: «Eloì, Eloì, lemà sabactàni?», che significa: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: «Ecco, chiama Elìa!». Uno corse a inzuppare di aceto una spugna, la fissò su una canna e gli dava da bere [...]. Ma Gesù, dando un forte grido, spirò. Il velo del tempio si squarciò in due, da cima a fondo. Il centurione, che si trovava di fronte a lui, avendolo visto spirare in quel modo, disse: «Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!».


Lui che ci ha dato tutto

Mancano le parole a voler commentare l’opera di Dio. Ogni omelia sembra così piccola e inadeguata! Nulla, proprio nulla, possiamo aggiungere a un amore che ha dato tutto come mai nessuno prima: potevamo immaginare di poter essere amati così da un “Dio” che sempre è stato pensato diverso da un “Crocifisso”? Nessuna fantasia, qui. È la realtà storica, testimoniata con il sangue dei martiri, a raccontarci tutte queste cose che riguardano il Maestro: lui e tutti noi.

Di cosa posso stupirmi, oggi? Cosa posso contemplare con voi, oggi, domenica delle Palme? Inizio a rispondere, balbettando. E ciascuno continui, con il cuore colmo dell’amore di Gesù in croce. Contemplo la Pasqua ebraica i cui colori si fondono con quella di Gesù: l’agnello offerto nella liturgia del Tempio e l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo.

Mi stupisco di quella donna che, a Betania, sciupa lo stipendio di un anno di lavoro (...si dice che fosse una peccatrice!) per profumare la testa del Signore, riconoscendolo il Messia dei poveri, di quelli che per affetto verso di lui – poiché altra speranza non hanno – svuotano sé stessi in un intimo atto di affidamento. Mi amareggio del tradimento di Giuda, ma penso anche alle mie piccole distrazioni: le chiamo così, ma sono le responsabilità nelle quali forse ho mancato l’essenziale.

Mi accosto alla mensa dell’ultima cena e ringrazio per le innumerevoli volte che ho ripetuto il gesto di Gesù che si affida a noi, si mette nelle nostre mani e sta fermo nella volontà del Padre: la Croce sta ormai sul palmo della mia mano! Contemplo gli occhi buoni del Signore che incrociano lo sguardo prima assonnato di Pietro che dorme, nel campo degli ulivi, mentre Gesù si consegna ai soldati, e poi il suo sguardo terrorizzato: Pietro, anche lui fragile e senza memoria dell’amicizia con il suo Maestro, e tuttavia già chiamato a essere Roccia della sua Chiesa.

Mi stupisco di lui, che davanti agli accusatori parla di un Tempio nuovo, che Dio riedifica nelle coscienze di tutti, perché ciascun uomo lo possa incontrare. È lui il Tempio nuovo del nuovo popolo che nasce proprio in quelle ore di tormento e di gloria. E ancora: spine che si intrecciano e colpi che si abbattono impietosi sulla sua schiena, e ogni colpo a marcare la separazione che il peccato del mondo ha generato tra la creatura e il Creatore di tutto. Ascolto i colpi sordi del martello che configge la carne sul legno, illudendosi di poter fermare l’amore di un Dio che si è sempre legato all’uomo con patti e alleanze certe, contro ogni intenzione di morte, di solitudine, di schiavitù, fin dall’antico Egitto.

Poi il silenzio più totale che l’universo abbia mai ascoltato, quando il Figlio di Dio viene deposto nel sepolcro scavato nella roccia. E la Chiesa attende: è un secondo Avvento alle cui porte avvertiamo che tutto si è già compiuto, eppure ciascuno di noi ancora ha viva speranza per sé e per il mondo che Dio ha amato così.

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Rito romano

In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO ROMANO, curata dal cardinale Dionigi Tettamanzi. 

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