Adorazione dei pastori, tela di Giorgione (1477-1510).
Luca (2,16-21)
[I pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro.
L'esperienza dello stupore
Chi è al centro di questa pagina evangelica? Non ci sono dubbi: il “bambino”. È lui che viene cercato, trovato, visto, raccontato dai pastori. È lui che rende pieni di stupore quanti ne sentono parlare. È lui che viene circonciso e riceve il nome. Ma anche Maria compare in una posizione del tutto singolare: viene incontrata dai pastori, presenta un cuore che custodisce e medita il “mistero” della salvezza, offre il suo grembo per il concepimento di Gesù, ossia di Dio che si fa uomo per noi.
Chi è al centro? Siamo tentati di dire: sono i pastori, che dall’angelo hanno ricevuto l’annuncio gioioso della nascita di Gesù. Proprio su di loro vogliamo soffermarci. Si trattava di gente piuttosto rozza, ai margini della società, non estranea a ruberie o addirittura a qualche delitto.
Luca li fotografa in cammino: «andarono senza indugio». Sentono irresistibile il bisogno di verificare l’annuncio ricevuto. I loro passi non sono mossi da semplice curiosità, quanto da un atteggiamento virtuoso di apertura e di accoglienza: l’annuncio è così straordinario che, se vero, è l’inizio di qualcosa di grande, di bello, di affascinante: è la sorprendente novità della salvezza, di una speranza di riscatto che è anche per loro. Sì, gente rozza ed emarginata i pastori, ma anche semplici, attenti ai segni, incapaci di dire di no alle cose da poco: anche un segno piccolo basta al loro bisogno. E cosa è più piccolo di un bambino? Cosa è più fragile? Ma i segni non sono, per loro natura, fragili? Chiedono di essere spiegati e interpretati: in questo caso, dalla luce nuova della fede. I pastori non possono attingere alla loro “cultura”: non ne hanno, non conoscono neppure le Sacre Scritture. Sanno solo ripetere le parole dell’angelo e se ne fanno portavoce persino a Maria e Giuseppe, che si stupiscono di quanto si avvera: anche loro, per la verità, avevano avuto solo la garanzia della parola di un angelo e pochi segni fragili per dire il loro sì a Dio!
segni fragili per dire il loro sì a Dio! In particolare Maria si rafforza nella speranza di tutto Israele e ricollega le fila di una meditazione ormai lunga nove mesi di attesa, che ridà a Dio il suo posto dentro la storia degli uomini: l’Onnipotente è suo Figlio, nato da lei all’interno di un disegno che lei stessa comprende solo attraverso una fede giovane, ma che non sa dire di no a Dio.
«Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori». Anche questi hanno un loro spazio nel brano evangelico. È lo spazio amplissimo della folla, di cui tutti noi siamo parte. E così l’esperienza dello stupore che i pastori vivono nell’incontro con il “bambino” si allarga anche a me: anch’io non posso non essere preso da stupore di fronte a Dio che mi ama e mi salva così.
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Luca (2,1-14)
C’erano in quella regione
alcuni pastori che,
pernottando all’aperto,
vegliavano tutta la notte
facendo la guardia al loro
gregge. Un angelo del
Signore si presentò a
loro [...]: «Non temete:
ecco, vi annuncio una
grande gioia, che sarà
di tutto il popolo: oggi,
nella città di Davide,
è nato per voi un
Salvatore, che è Cristo
Signore. Questo per voi
il segno: troverete un
bambino avvolto in
fasce, adagiato in una
mangiatoia». E subito
apparve con l’angelo una
moltitudine dell’esercito
celeste, che lodava Dio
e diceva: «Gloria a Dio
nel più alto dei cieli
e sulla terra pace agli
uomini, che egli ama».
L’umiltà
di Betlemme
L’attesa è “compiuta”! Il cammino d’Avvento si conclude con la celebrazione della nascita di Gesù, il figlio di Dio fattosi uomo nel grembo di Maria. Sin dalle prime righe del suo racconto, l’evangelista Luca ci fa respirare un clima di universalità: è “tutta la terra”, infatti, a ricevere l’ordine di Cesare Augusto di sottoporsi al censimento, un ordine che coinvolge anche la famigliola di Giuseppe e Maria con il bambino prossimo a venire alla luce.
Proprio su questo bambino si concentra ora il nostro sguardo. Ma questa è una concentrazione originale, perché ha in sé la forza, lo slancio di dilatarsi all’intera umanità,
vedendola inserita nell’avventura che sta accadendo nella storia e nei cuori umani. Ma quale avventura? Ci risponde «un angelo del Signore» che, rivolgendosi ad alcuni pastori, dice loro: «Ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore».
Gli occhi dei pastori rimangono però sconcertati, increduli, perché l’annuncio ricevuto non sembra affatto corrispondere a quanto vedono: quel “Signore” che “salva il mondo” è questo bimbo da poco nato, lontano da ogni clamore. Sì,mal’angelo aveva indicato esattamente questo segno: «Troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».
Un segno quanto mai misterioso e luminoso: la grandezza di Dio si svela nella piccolezza estrema di un bambino, che nel suo nascere non trova accoglienza e sperimenta la povertà. E così in quella notte cambia radicalmente la vicenda dei pastori: passano dal fare la guardia al gregge all’incontro con “questo” bambino, con il Cristo Signore, il Salvatore del mondo.
Incontrano il “Dio umile” che manifesta l’immensità del suo amore che vuole salvare l’uomo condividendone la fragilità e la miseria. Un’umiltà, quella di Betlemme, che annuncia e anticipa l’abissale umiliazione della croce, da dove il Crocifisso griderà la misericordia incondizionata di Dio che si spoglia di tutto per la salvezza di tutti gli uomini.
Mi piace accennare a qualche aspetto del mistero del Natale, così come lo racconta l’evangelista e come si ripercuote in me. Egli parla del censimento di Cesare Augusto, ma quello vero e sorprendente è il censimento di Dio, che “conta” ognuno di noi come termine personale del suo amore.
Mi sconcerta e commuove il farsi “bambino” del Signore, l’umiltà estrema, il rifiuto subìto, la povertà, la sofferenza di Betlemme e della croce. Sento di dover umilmente implorare da Dio il dono della fede, perché essa sola mi apre all’accoglienza e alla risposta d’amore a lui che si è fatto uomo come me. Infine mi auguro di fare viva esperienza del “mio” Natale, quello che nella notte santa Gesù pensava e voleva per me.
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Luca 1,26-38
«Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine. [...] Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra. Perciò colui che nascerà sarà santo e sarà chiamato Figlio di Dio. Ed ecco, Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia ha concepito anch’essa un figlio e questo è il sesto mese per lei, che era detta sterile: nulla è impossibile a Dio».
La fedeltà di Dio
Promessa e compimento sono le due parole-chiave della quarta domenica di Avvento. Al desiderio del re Davide di possedere un tempio grandioso il profeta Natan risponde a nome di Dio con la promessa: «Il Signore ti farà grande, poiché ti farà una casa », ti darà una discendenza e renderà saldo e stabile per sempre il tuo regno. Il compimento della promessa avviene in Maria di Nazaret resa dallo Spirito Santo “dimora” di Dio fatto uomo.
Un’immagine sembra interpretare bene il dinamismo della promessa e del compimento: quella della Chiesa che protende le sue mani verso l’alto e le congiunge in un arco imponente e solido, che è la persona stessa di Gesù Cristo, saldatura definitiva tra la promessa e il compimento, lui “figlio di Davide” e figlio di Maria. Una saldatura, questa, che trova il suo cemento incrollabile nella fedeltà alla parola data.
Questa immagine di Chiesa ritroviamo nell’inaudita promessa fatta a Maria: «Ecco concepirai un figlio... sarà grande... il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre». Ma ci si può fidare di una simile promessa? Sì, senz’alcun dubbio, perché, come dice l’angelo, «lo Spirito Santo scenderà su di te... colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio».
L’onnipotenza di Dio è indelebilmente marcata dalla fedeltà, come dimostra Elisabetta con il concepimento nella sua vecchiaia. E a questa fedeltà si consegna con totale fiducia la vergine di Nazaret: «Ecco la serva del Signore; avvenga per me secondo la tua parola».
È allora la fedeltà di Dio che in questo Natale vogliamo ammirare e lodare, e nello stesso tempo rendere sorgente viva di fiducia: anche nelle situazioni personali, familiari e sociali più difficili, travagliate e disperate è possibile aprirsi alla speranza, al coraggio e al ricominciare in novità di vita il nostro cammino.
La maternità di Maria, la vergine, è il compimento della promessa di Dio, è la testimonianza più convincente della fedeltà di Dio, del suo amore che non viene mai meno. La grotta di Betlemme ha scritto così una delle pagine più belle di quell’assoluta fedeltà di Dio, che è il filo rosso dell’intera storia della salvezza.
Il Signore ci doni nelle giornate di questo Natale la gioia pura e confortante di sentirci abbracciati e colmati dal suo amore fedele. «Rallegrati, piena di grazia: il Signore è con te». Non possiamo, forse, applicare queste brevi e immense parole anche a ciascuno di noi?
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Giovanni (1,6-8.19-28)
Venne un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni. Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui. Non era lui la luce, ma doveva dare testimonianza alla luce. Questa è la testimonianza di Giovanni [...]: «Io non sono il Cristo. [...] Io sono voce di uno che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore, come disse il profeta Isaìa. [...] Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».
La luce che ci salva
La parola-chiave della terza domenica di Avvento potrebbe essere questa: la verità del Natale. Chi è colui che attendiamo? Chi sta al centro della festa? Non sono i nostri bambini, anche se – come “piccoli” in senso evangelico – ci insegnano lo stupore davanti al dono vivente di Dio. Al centro c’è il bambino di Betlemme, Dio che si fa uomo nel grembo di Maria, il Cristo che di tutti è luce che illumina e salva, sorgente d’acqua viva che dà gioia e pace. La verità del Natale ha bisogno di testimoni che la mostrino non semplicemente con le parole ma con la vita.
E il primo testimone è Giovanni, il Battista: «Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce, perché tutti credessero per mezzo di lui». È preso d’assalto dai farisei, raggiunto dalla domanda sulla sua identità: «Tu, chi sei?». Ed è stimolato senza sosta: «Sei tu il Cristo? Elia? Il profeta?». E sin qui la risposta è categoricamente negativa. Sarà allora lui, Giovanni, a offrire la risposta vera e certa.
Risponde con il gesto del battesimo nell’acqua, nel senso annunciato da Isaìa: «Io sono voce che grida nel deserto: Rendete diritta la via del Signore». Il Battista chiama dunque alla conversione morale e al perdono dei peccati. Ma solo il battesimo di Spirito Santo, solo la grazia di chi è “più forte” di Giovanni può ottenere la misericordia di Dio e la sua salvezza. È questo il senso della risposta ai farisei: «Io battezzo nell’acqua. In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete, colui che viene dopo di me: a lui io non sono degno di slegare il laccio del sandalo».
Queste parole ci dicono, anzitutto, l’umiltà del Battista: non un semplice sentire morale, ma un vero e proprio atteggiamento di fede. Solo nella fede, in realtà, stanno la radice e la forza per riconoscere che la salvezza dell’uomo non è frutto delle sue opere, ma è dono liberissimo di Dio. È «grazia», come l’apostolo Paolo non si stanca di ripetere: «Per grazia siamo salvati!». Una lezione di fede umile e grande, questa, che apre il nostro cuore a rendere grazie e lode al Signore.
Per la nostra preparazione al Natale sono importanti anche queste altre parole: «In mezzo a voi sta uno che voi non conoscete». Dicono l’urgenza per noi di una fede “contagiosa”, che diviene “professione” – annuncio esplicito – e che sfocia in una “testimonianza” credibile per i non pochi che ancora non conoscono Cristo Gesù e il suo Natale: non lo conoscono per non averne mai sentito parlare, per l’indifferenza nei riguardi del Signore, per il rifiuto delle sue parole e dei suoi gesti d’amore.
In questa prospettiva il nostro percorso verso il Natale ci conduce a generare e a vivere una condivisione, con persone “lontane” dal Signore, di quella gioia unica che esplode nella grotta di Betlemme con la nascita del Salvatore del mondo.
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L'Immacolata, tavola del Pomarancio. Città di Castello, Pinacoteca.
Luca (1,26-38)
In quel tempo, l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della
Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo
della casa di Davide, di nome Giuseppe. La vergine si chiamava Maria.
Entrando da lei, disse: «Rallègrati, piena di grazia: il Signore è con
te». [...] L’angelo le disse: «Non temere, Maria, perché hai trovato
grazia presso Dio. Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e
lo chiamerai Gesù [...]». Allora Maria disse: «Ecco la serva del
Signore: avvenga per me secondo la tua parola». E l’angelo si allontanò
da lei.
Contempliamo Maria, la vergine di Nazaret che la Chiesa oggi festeggia come “Immacolata”,
nell’orizzonte liturgico dell’Avvento, e dunque della nostra
preparazione al Natale. In realtà c’è un intimo rapporto tra quanto
narra Luca circa l’annunciazione dell’angelo a Maria e quanto siamo
chiamati noi a fare nel nostro prepararci alla nascita di Gesù, il
Figlio di Dio che si fa uomo per noi. Il testo evangelico è una stupenda
fotografia di questa “preparazione” che ha luogo nella casa di Maria: una preparazione che si risolve nell’incontro tra Dio e l’umanità nel segno della grazia divina e della responsabilità umana. In questo “incontro” stanno il segreto e il cuore della storia del mondo e della vicenda di ciascuno di noi.
Il clima che si respira nella casa di Nazaret è intessuto di grande
gioia e di profonda obbedienza. Gioioso è l’annuncio: «Rallegrati, piena
di grazia: il Signore è con te... Non temere, Maria, perché hai trovato
grazia presso Dio». E non è solo lei la destinataria di questa gioia:
lo siamo tutti noi, ogni uomo a questo mondo. La prima reazione
all’annuncio dice però dubbio, interrogazione, fatica, peso, sfida: da
tutto ciò viene toccata la risposta libera e obbediente di Maria e di
tutti noi. Maria, infatti, «fu molto turbata e si domandava che senso
avesse un saluto come questo...». E disse all’angelo: «Come avverrà
questo, perché non conosco uomo». Ma anche noi nel rispondere a Dio e
alla sua volontà sperimentiamo, non poche volte, l’incertezza, lo
sconcerto, la paura, la difficoltà!
La festa dell’Immacolata ci si offre come prezioso regalo per noi,
chiamati a celebrare e a vivere il grande mistero della salvezza,
dell’incontro di Dio con l’uomo. Di questo incontro “protagonista” primo
– e in un certo senso unico – è Dio stesso, che prepara la sua “dimora”
tra gli uomini nel grembo di Maria, testimoniando così l’assoluta
gratuità del suo venire tra noi e in noi. È questa l’esperienza che ha
commosso Maria nella sua verginità: «Ed ecco concepirai un figlio, lo
darai alla luce... Lo Spirito Santo scenderà su di te e la potenza
dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra...».
Anche Maria sta vivendo la sua “preparazione” al Natale, giungendo al
traguardo del suo “sì” libero e obbediente: «Ecco la serva del Signore:
avvenga per me secondo la tua parola». Tutto questo ci tocca
personalmente nella nostra fondamentale relazione con Dio. Lui, «il
Figlio dell’Altissimo», vuole prendere dimora in noi: in noi vuole farsi
“carne”. E noi confermiamo ed esaltiamo la nostra suprema dignità con il nostro piccolo “sì” detto con umiltà e fiducia al grande “sì” di Dio.
«E l’angelo si allontanò da lei». Mi piace pregarlo perché si avvicini a
ciascuno di noi, per rendere autentica la nostra preparazione al
Natale.
PER I LETTORI DI RITO AMBROSIANO
Sul nostro sito sono disponibili i commenti alle letture domenicali secondo il rito ambrosiano a cura di don Alberto Fusi.
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Marco (1,1-8)
Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio. Come sta scritto nel profeta Isaìa: «Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via. Voce di uno che grida nel deserto: preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri», vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto. [...] E proclamava: «Viene dopo di me colui che è più forte di me: io non sono degno di chinarmi per slegare i lacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzato con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo».
Convertiamoci a Cristo
Ecco un’altra parola-chiave dell’Avvento: siamo chiamati a convertirci, a cambiare strada, a entrare in una nuova logica di vita. A proclamare questa esigenza è ancora oggi Giovanni, il Battista: «Voce di uno che grida nel deserto: preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri». Una voce che risuona «nel deserto». L’annotazione non è semplicemente geografica, ma profondamente simbolica: il deserto è luogo dell’essenzialità, della meditazione, del silenzio e dell’ascolto, della preghiera e dell’obbedienza ai disegni di Dio. E così la voce che risuona è sì quella del Battista, ma ancor più è la voce di Dio che penetra nell’intimo del cuore di ciascuno di noi per sollecitarci alla conversione, per spingerci a camminare sulla strada del vero e del bene, per rinnovarci nella fede in Cristo Gesù.
Si fa così sempre attuale e personale quanto l’evangelista scrive: «Si presentò Giovanni a battezzare nel deserto, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati ». Di una conversione morale si tratta, dai lineamenti della povertà e sobrietà evangeliche, visibilmente espresse dal Battista, che vestiva di peli di cammello e mangiava cavallette e miele selvatico. E dai lineamenti della solidarietà, come attenzione, servizio e dono di sé ai fratelli bisognosi, secondo l’esplicita e forte sottolineatura dell’evangelista Luca.
In realtà il cambiamento di strada è ancora più impegnativo e insieme più liberante e rinnovatore di quello legato ai costumi morali. Ci è chiesta una conversione teologale, che tocca il nostro fondamentale rapporto con Dio: una conversione che è distacco e rifiuto del peccato ed è libera adesione a Dio Sommo Bene e al suo amore che libera e ci fa nuovi. Una simile conversione, che pure reclama il pieno coinvolgimento della nostra libertà responsabile, è frutto della grazia di Dio, è dono del battesimo nello Spirito. Sta qui il vertice della predicazione di Giovanni: «Io vi battezzo con acqua, ma egli vi battezzerà in Spirito Santo». E, dunque, il vertice del nostro vivere l’Avvento.
La conversione morale e teologale manifesta così la sua fisionomia più profonda e originale: è conversione a Cristo, questo «uno che è più forte» del Battista; è camminare sulla “via” che è il Signore Gesù stesso; è un rinnovato rapporto personale con lui. Possiamo dire che la conversione è intimamente connessa con la fede, anzi è essa stessa professione- vita-annuncio della fede in «Gesù Cristo, Figlio di Dio», come recita l’inizio del Vangelo di Marco.
Preghiamo il Signore che nel vivere il dono della conversione ci sia dato di assaporare quella grande gioia spirituale che esplode nel nostro cuore al pensiero che il Signore sempre ci precede e ci sorprende: è lui il primo a “convertirsi” a noi; è lui a venire a noi per «mostrarci la sua misericordia e per donarci la sua salvezza».
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