10 aprile 2011 - V domenica di Quaresima


Giovanni (11.1-45)


In quel tempo, Gesù le disse: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Gli rispose: «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo». [...] Le disse Gesù: «Non ti ho detto che, se crederai, vedrai la gloria di Dio?». Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: «Padre, ti rendo grazie perché mi hai ascoltato. Io sapevo che mi dai sempre ascolto, ma l’ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato». Detto questo, gridò a gran voce: «Lazzaro, vieni fuori!». Il morto uscì, i piedi e le mani legati con bende, e il viso avvolto da un sudario. Gesù disse loro: «Liberàtelo e lasciàtelo andare».


È lo Spirito che fa vivere

«Se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!» (Gv 11,21). La protesta di Marta all’amico Gesù, assente nel momento del dolore, è la stessa protesta che sgorga dal cuore di chi nell’estrema sofferenza si sente completamente abbandonato da Dio.

Spesso di fronte alla morte di una persona cara, stravolti dalla tragedia, oppressi dalla fatica del vivere si dimentica che il nostro Dio è il Dio della vita e non della morte. È il Padre misericordioso che sempre ascolta la nostra voce: «Dal profondo a te grido... L’anima mia attende il Signore» (Sal 130,1.6). È il Dio che in Gesù Cristo è venuto tra noi per offrirci l’acqua viva che disseta per sempre, per aprirci gli occhi e per farci vedere la vita oltre la morte.

L’uomo trascende il dato biologico, sempre: sia quando è ancora un embrione senza volto, sia quando è inerme, inchiodato a una macchina in un letto d’ospedale, sia quando giace in un sepolcro è molto di più di un aggregato di cellule. «Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito» (Gv 3,6) e nemmeno la morte può distruggere ciò che è nato dall’Alto. Eppure, dinanzi a un sepolcro chiuso dimentichiamo il grido di Gesù sulla tomba di Lazzaro: «Vieni fuori!» (Gv 11,43).

Mai come quella volta la natura umana e quella divina del Maestro si fusero in maniera tale da mostrarci la fragilità del Figlio dell’uomo e la potenza del Figlio di Dio. Come ogni essere umano dinanzi alla tomba di una persona cara, Gesù si commosse, si turbò e pianse e ancora oggi si commuove, si turba e piange ogni volta che l’uomo rimane chiuso nel sepolcro di una vita senza senso. No, Dio non è sordo al dolore, Cristo non gode della sofferenza! È risorto per sconfiggere la morte penetrata nel cuore della storia, perché l’uomo, ancora presuntuoso, immaturo, fragile come un adolescente, ignaro dell’amore del Padre, gli ha voltato le spalle. Il Figlio di Dio gridò sulla tomba dell’amico per rovesciare il suo destino e quello dell’intera umanità e allora come oggi, compagno dell’uomo, continua a sgridare la morte e ogni morte.

Se nei nostri corpi mortali lasceremo abitare lo Spirito che ha risuscitato Cristo (cf. Rm 8,11) sentiremo il grido di Gesù: Vieni fuori! Esci dal baratro del nulla, dall’angoscia, dalla paura di non farcela. Vieni fuori dal timore delle malattie, dalla tomba della depressione e della solitudine, perché non sei solo. Vieni fuori dell’egoismo che uccide più della morte, vieni fuori dal branco e ritrova la preziosa unicità del tuo essere, la tua dignità di uomo. Libera il tuo volto dal sudario della morte e comprenderai la profezia di Ezechiele: «Quando aprirò le vostre tombe... Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete» (Ez 37,13-14).

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO ROMANO, curata dal cardinale Dionigi Tettamanzi. 

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