13 novembre 2011 - XXXIII del Tempo ordinario


Matteo (25,14-30)


«Si presentò anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: “Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo”. Il padrone gli rispose: “Servo malvagio e pigro, [...] avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l’interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha”».


Talenti da far fruttare

«A chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha» (Mt 25,29). Ancora una parabola sulla fine dei tempi con cui il Maestro spiega come partecipare alla gioia del Regno, facendo fruttare i doni che il Signore dà a ognuno di noi: «A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno » (Mt 25,15).

Ogni uomo, unico e irripetibile, è diverso dall’altro: c’è chi è più intelligente, chi più creativo, chi è più forte, in perfetta salute, chi è più fragile nel corpo e nello spirito, ma ognuno ha sempre qualcosa da dare. Ognuno secondo le sue capacità può e deve contribuire alla costruzione di un regno di pace e di amore nella società in cui vive.

Il Signore non ci chiede mai di più di quanto siamo in grado di fare, ma sempre premia lo sforzo profuso da chi, affamato di giustizia, lavora con fedeltà nella sua vigna: «Della fatica delle tue mani ti nutrirai, sarai felice e avrai ogni bene» (Sal 28,2). Non importa se ha ricevuto in consegna cinque talenti o solo due, l’importante è farli fruttare.

Certo, non tutti siamo in grado di assurgere alle vette della scienza e produrre un vaccino che libera l’umanità da un male incurabile, non tutti siamo capaci di realizzare un’opera d’arte che eleva lo spirito, non tutti sappiamo fare grandi cose per il bene dell’umanità, ma ognuno, anche con un solo talento, «fedele nel poco può avere potere su molto» (cf. Mt 25,21).

Ognuno può fare una piccola cosa per gli altri: una carezza a un bimbo che piange, un’ora di compagnia a chi è solo, un pasto caldo a chi ha fame. Chiunque ha il coraggio di rischiare, di investire il suo talento a beneficio degli altri, avrà la sua ricompensa e sentirà nel silenzio del cuore la voce di Dio che gli sussurra: «Prendi parte alla gioia del tuo padrone» (Mt 25,21).

Chi, invece, per timore di essere escluso da una società che induce a perseguire solo i propri interessi, chi per paura di perdere quello che ha non si cura degli altri, chi pensando solo a sé stesso nasconde il suo capitale per metterlo al sicuro e vivere in pace, sarà escluso dalla gioia del regno: «Quando la gente dirà: “C’è pace e sicurezza!”, allora d’improvviso la rovina li colpirà» (1Ts 5,3).

A chi, come un «servo malvagio e pigro» (Mt 25,26), sotterra il suo talento nell’ozio o nella noia, a chi lo spreca sciupando la propria vita in futili piaceri, in lussurie e ubriachezze, a chi dorme sul dolore del mondo all’improvviso gli «verrà tolto anche quello che ha» (Mt 25,29). Come sorpreso da un ladro di notte, gli sarà portata via ogni possibilità di essere felice. «Beato», allora, «chi teme il Signore e cammina nelle sue vie» (Sal 128,1).

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO ROMANO, curata dal cardinale Dionigi Tettamanzi. 

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