19 giugno 2011 - Santissima Trinità


Giovanni (3,16-18)


In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».


Provocati dal mistero

«Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito» (Gv 3,16). Nessun padre sarebbe disposto a sacrificare un figlio per la salvezza di altri, ma il Padre nostro che è nei cieli ci  ama di un amore così grande, incommensurabile, incomprensibile, tanto da sacrificare il  Figlio, «perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16).

Come un padre che con il suo amore rimane accanto ai figli anche quando sono lontani,  così il Padre, quando richiama a sé il Figlio per glorificarlo, fa ancora un passo verso di noi. Per rimanerci accanto, per abitare in noi, manda un altro Consolatore, lo Spirito di verità  che ci insegnerà ogni cosa: «In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi» (Gv 14,20).

Ed ecco che Dio si svela come azione d’amore, come eterna comunione tra Padre, Figlio e Spirito Santo, un Dio uno e trino, fondamento della nostra fede, della prima preghiera che ci viene insegnata da bambini con un semplice gesto, il segno della Croce, che rimanda alla
realtà in cui crediamo. Eppure la Trinità, che permea la nostra esistenza cristiana, si ri-vela
nella storia credente come mistero, che da sempre i grandi teologi hanno cercato di  spiegare.

Indubbiamente è impossibile per l’uomo, infinitamente piccolo dinanzi alla grandezza del  totalmente Altro, riuscire a comprendere l’essenza della Trinità, ma nemmeno sarebbe  onesto sfuggire alla responsabilità di crescere nella fede senza lasciarsi provocare dal mistero del Dio trino e unico. Certo è più semplice fermarsi all’idea di un Dio onnipotente che risolve ogni problema, è più comodo abbandonarsi a fanatismi e superstizioni, che  essere come viandanti in un cammino di ricerca, suffragato dall’umiltà del passo, e lasciarsi attrarre dal mistero trinitario di Dio, senza la presunzione di possederlo ma con il desiderio di esserne posseduti.

Il mistero certo rimane, ma se crediamo che «Dio è amore» (1Gv 4,8), allora forse  comprendiamo che nell’unione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo si svela il segreto
della vita: abbattere ogni barriera che divide l’umanità in ricchi e poveri, padroni e schiavi,
cittadini ed extracomunitari, sani e malati, per riscoprire nell’unità l’armonia presente all’origine del mondo.

«Il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore» (Es 34,6) guiderà i nostri passi, se ogni volta che facciamo il segno della Croce, con la semplicità di un  bambino, esprimiamo la volontà di aprire la ragione al Cielo per essere con il Padre, il cuore agli altri per essere con il Figlio, di operare per il bene comune con la forza dello  Spirito, vivo nel nostro agire, per sentire Dio, uno e trino, nel nostro cuore.

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO ROMANO, curata dal cardinale Dionigi Tettamanzi. 

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