3 aprile 2011 - IV domenica di Quaresima


Giovanni (9,1-41)


In quel tempo, Gesù passando vide un uomo cieco dalla nascita e i suoi discepoli lo interrogarono: «Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?». Rispose
Gesù: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di
Dio. Bisogna che noi compiamo le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può agire. Finché io sono nel mondo, sono la luce del mondo». Detto questo, sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco e gli disse: «Va’ a lavarti nella piscina di Sìloe», che significa “Inviato”. Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.



La luce viene da Cristo

«Io credo, Signore!» (Gv 9,38). Una professione di fede, quella del cieco nato guarito da Gesù, che ben descrive il processo della conversione che passa sempre attraverso quel travaglio interiore che, prima in maniera confusa, poi in modo sempre più chiaro, costringe il cuore a raccontare il passaggio: «Non lo so» (Gv 9,12); «È un profeta» (Gv 9,17); «Ero cieco, ora ci vedo» (Gv 9,25).

Un percorso laborioso che portò il cieco a riconoscere in quel nuovo profeta il Salvatore. Un percorso, narrato da Giovanni con dovizia di particolari, in cui si coglie il passaggio dal buio alla luce: «Finché sono nel mondo», dice Gesù, «sono la luce del mondo» (Gv 9,5), come per dire: «Solo io posso liberarvi dalle tenebre». E contrariamente a quanti pensavano che la cecità del povero mendicante fosse dovuta a una punizione di Dio, aprendo gli occhi al cieco dimostra che la misericordia del Padre è più grande dei nostri peccati, tanto da sacrificare il suo Figlio unigenito per liberare l’umanità dalle tenebre della morte: «Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore» (Ef 5,8).

Una luce che ci viene donata dalla nuova creazione operata da Cristo, che provata pietà per il cieco decise di liberarlo dal buio. E a voler sottolineare la nascita dell’uomo nuovo, quasi a voler ripetere in un gesto quello del Creatore che, soffiando il suo spirito in un pugno di fango, diede vita al primo uomo, «sputò per terra, fece del fango con la saliva » (Gv 9,6) e glielo spalmò sugli occhi.

Gesù offre al cieco e a ciascuno di noi la possibilità di vedere la luce, quella vera. Ma il cammino di conversione è affidato alla libertà dell’uomo che può scegliere tra le tenebre e la luce. Aprire gli occhi non basta, la luce in un primo momento acceca, disorienta: a volte è una spinta inconsapevole che porta alla ricerca di quel qualcosa in più che dia senso alla vita. Spesso si rimane affascinati da Gesù come da un qualsiasi grande uomo o dalle sue capacità “taumaturgiche” che per “magia” possono cambiare la nostra vita. Non è facile passare da una fede legata all’aspetto fenomenale della profezia alla convinzione interiore di chi dice: «Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla» (Sal 22,1).

Gli uomini sono accecati dal dolore o peggio dalla ricchezza, dal potere, dall’individualismo che impediscono di vedere il vero senso dell’esistenza. Per ritornare a riveder le stelle, la luce vera, con gli occhi della mente, è necessario abbattere i muri dell’indifferenza, essere luce del mondo, sanare ogni ferita, perché: «L’uomo guarda l’apparenza, il Signore guarda il cuore» (Sam 16,7). Per questo sta scritto: «Svégliati, o tu che dormi, déstati dai morti e Cristo ti illuminerà» (Ef 5,14).

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO ROMANO, curata dal cardinale Dionigi Tettamanzi. 

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