5 giugno 2011 - Ascensione del Signore


Matteo (28,16-20)


In quel tempo, gli undici discepoli andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro indicato. Quando lo videro, si prostrarono. Essi però dubitarono. Gesù si avvicinò e disse loro: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».


Ora il cielo è aperto

«Andate dunque e fate discepoli tuttii popoli» (Mt 28,19), questo il mandato affidato agli apostoli, questo il senso ultimo dell’Ascensione di nostro Signore, quando «fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi” (At 1,9).

Da quel lontano giorno la terra si è ricongiunta al cielo, il cielo è dentro la terra. Terminata la storia umana di Gesù, in Cristo la terra diviene la base per il cielo. Più volte, nella sua vicenda terrena Gesù di Nazaret aveva raccontato quanto quel cielo fosse ampio, quanto grande fosse la misericordia di Dio che lo aveva inviato nella storia umana non per condannare il mondo, ma perché il mondo riscoprisse il volto autentico della sua sostanza,
l’origine della sua esistenza.

Crocifisso per i nostri peccati, ora il Padre aveva dato al Figlio risorto «ogni potere in cielo e sulla terra» (Mt 28,18). Con l’Ascensione il Maestro di Galilea tornava a casa e i discepoli quasi si aggrapparono ai suoi piedi, forse per trattenerlo ancora, forse ancora di più per potersi sollevare insieme a lui dal suolo e correre le vie del cielo. Non più dolore, non più affanno, non più lacrime.

Il cielo è il trono di Dio, la terra il suo sgabello, qui sul suolo degli avvenimenti la vicenda umana si snoda tra gioia e dolore, tra ore esaltanti e tempo di disperazione, ma ora il cielo è aperto, finalmente la risposta è data: possiamo ritornare a casa.

Ora sta a noi intraprendere la via del ritorno: «Uomini di Galilea perché state a guardare il cielo?» (At 1,11). L’uomo fatto di terra scorge la realtà del cielo e comprende di essere parte di un progetto al quale bisogna partecipare con risposte concrete, testimonianza di cielo nell’ora della terra. Il vero cristiano è, dunque, colui che con «uno spirito di sapienza e di rivelazione» (Ef 1,17) passa dalla quieta accettazione di chi guarda il cielo alla tormentata ricerca nell’impegno terreno. È colui che, libero da tutto ciò che impedisce di respirare l’aria del cielo, va e annuncia il Vangelo per far comprendere a quale speranza siamo stati chiamati e portare conforto a chi è solo, prigioniero delle ore, in un mondo contagiato dal pessimismo, da profondi squilibri, da laceranti ingiustizie.

L’uomo di Dio non si ferma a guardare il cielo, va e affronta la vita per quello che è con la certezza del passato, la consapevolezza del presente e il futuro negli occhi.

l cristiano va e ammaestra le genti e fa discepoli per insegnare a osservare tutto ciò che Gesù ci ha comandato ed educare gli uomini a costruire sulla terra la realtà del cielo con il coraggio, la fiducia, la certezza di chi ha nel cuore le parole del Signore: «Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO ROMANO, curata dal cardinale Dionigi Tettamanzi. 

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