Luca (12,32-48)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Siate pronti, con le vesti
strette ai fianchi e le lampade accese; siate simili a quelli che
aspettano il loro padrone quando torna dalle nozze, in modo che, quando
arriva e bussa, gli aprano subito. Beati quei servi che il padrone al
suo ritorno troverà ancora svegli; in verità io vi dico, si stringerà le
vesti ai fianchi, li farà mettere a tavola e passerà a servirli. E se,
giungendo nel mezzo della notte o prima dell'alba, li troverà così,
beati loro! Cercate di capire questo: se il padrone di casa sapesse a
quale ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. Anche
voi tenetevi pronti perché, nell’ora che non immaginate, viene il Figlio
dell’uomo».
Pronti per la festa
«Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese» (Lc 12,35). L’attesa vigilante è struttura credente. Ogni discepolo, che ha scelto la via del Maestro, ha per vocabolario la sua parola e non nasconde il desiderio irrefrenabile di poterlo incontrare. Sempre e comunque il suo grido sarà: «Maranà tha: vieni, Signore Gesù» (1Cor 16,22).
Aspettare la festa, il futuro dell’incontro, è la condizione del credere, abito che indossato guadagna linguaggi e pensieri di gioia, determina percorsi di nuova conoscenza della vita, della storia, della relazione tra gli uomini.
Era dei primi cristiani vivere l’attesa come festa anche negli avvenimenti più dolorosi tanto che, come ricorda la lettera a Diogneto, benché vivessero normalmente meravigliavano chi li incontrava per il diverso sapore che sapevano dare all’esistenza.
A nessuno è dato conoscere il momento in cui il Maestro farà ritorno, ma quel giorno arriverà e la verità mostrerà il suo volto consentendo alla storia individuale e a quella collettiva di comprendere finalmente sé stessa senza più domande irrisolte. E se quel giorno è la festa nuziale, l’attesa sarà ripagata, comunque essa sia stata vissuta per il dolore patito o per la gioia assaporata.
È la festa il sapore del credere, è sempre festa il desiderio credente e dire festa è saper coniugare il verbo della gioia in ogni caso. Aspettare, vigilare sono la condizione, la cintura ai fianchi e le lucerne accese sono la modalità. La cintura ai fianchi è di chi è pronto per partire, ma anche del servo che conoscendo il suo mestiere, il dovere del servizio, cinge i fianchi, arrotola in su la veste per lasciare liberi i piedi alla corsa, liberi da ogni inciampo. La lanterna nelle mani è di chi vuol restare sveglio, di chi fa luce anche nella notte più profonda e sa orientare lo sguardo per scrutare oltre, coraggioso tanto da sfidare il buio, preparato alla notte.
Il discepolo è in attesa della festa, non rassegnato al tempo che deve passare ma convinto di dover dare significato al tempo che gli è stato concesso: «A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più» (Lc 12,48).
Pronti a fare in modo che la carità trionfi, che l’amore diventi sostanza di nuovi incontri, di messaggio capace di cambiare i connotati dell’egoismo generato dal peccato.
L’attesa della festa, i fianchi cinti per servire, la luce negli occhi per dirsi il vero gridano la nuova consapevolezza che non ci sarà altro tesoro, nessun altro guadagno, per chi ha scelto il Maestro, che il Regno. La gioia la condizione, la festa il desiderio, insieme il vero tesoro: «Dov’è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore» (Lc 12,34).
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