8 luglio - XIV domenica del Tempo ordinario

Gesù e le nostre pretese
 
Marco (6,1-6)
 
In quel tempo, Gesù venne nella sua patria e i suoi discepoli lo seguirono. Giunto il sabato, si mise a insegnare nella sinagoga. E molti, ascoltando, rimanevano stupiti e dicevano: «Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani? Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?». Ed era per loro motivo di scandalo. Ma Gesù disse loro: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua».

Al Vangelo della scorsa domenica, in cui Gesù chiedeva e otteneva la fede, sembra fare da contrappunto il brano di oggi in cui è protagonista l’incredulità stupita della gente di Nazaret. Gesù, nella sinagoga, trova gente che lo ascolta con un pregiudizio invincibile: qui da noi parla e altrove ha compiuto miracoli; qui fa il sapiente e da altre parti agisce; qui dice di essere il Figlio di Dio e là ha agito nel nome di Dio. Anche noi vorremmo avere sempre il privilegio del miracolo, ma ci disturba l’autorevolezza con cui il Signore ci chiede la conversione. Presumiamo di sapere molto – o persino tutto – sul suo conto: sappiamo che è il Figlio di Dio (mi faccia scendere ora da questa croce e crederò in lui!), ma se non ci ascolta gli imputiamo una incomprensibile lontananza dai nostri guai quotidiani; sappiamo che è risorto e vivo (a volte proviamo momenti di singolare intimità affettuosa con lui nella preghiera!), ma spesso dobbiamo cercare il “Dio che si nasconde”, che ci chiede il prezzo della purificazione del cuore, e ci scandalizziamo; ammiriamo la forza con cui ha compiuto la volontà del Padre (la sua croce ha salvato il mondo!), ma quando avvertiamo che, in certe situazioni, la volontà di Dio può avere aspetti ripugnanti, ci ribelliamo... Proviamo dunque l’identico stupore della gente di Nazaret: se Gesù è ciò che dice, dov’è il suo potere, il suo regno, la sua gloria? Come mai le nostre giornate sono sempre faticose e uguali? Ma da che parte sta, se non dalla mia? Io gli crederei anche, ma quanto al consegnargli tutto di me...? Andiamo sì contro la gente di Nazaret, ma con tanta cautela. Ricordiamoci piuttosto che, da quando si è fatto uomo e «ha posto la sua tenda tra noi», siamo noi la “terra” su cui cade il seme buono della sua parola. Questa sua “patria” siamo noi, nell’intimità delle nostre coscienze. Rischiamo però di essere sterili e improduttivi perché di lui riteniamo di sapere già tutto, abbiamo l’idea che lui sia il potente che sta “dalla nostra parte”. Ma in questo modo Gesù è sconfitto dalle nostre “pretese”: quelle che vogliono che sia lui a seguire noi e non viceversa. E in questa situazione Gesù miracoli non ne fa. Nel Vangelo i miracoli a volte presuppongono la fede dei momenti di prova: la morte incombente o una malattia ostinata, come nel Vangelo di settimana scorsa. Per noi vale la stessa regola: sappiamo che aver fede significa consegnarsi interamente alla volontà buona del Padre. Non è solo attesa fiduciosa del miracolo. Altre volte invece, nel Vangelo, il miracolo suscita la fede. Qui però dobbiamo fermarci e chiederci quanti miracoli ci vogliono ancora per convincerci a credere. E quanta “passione” deve ancora dimostrare Dio nei nostri confronti perché ci decidiamo ad amarlo con tutte le nostre forze, perché ci rendiamo disponibili nel suo Spirito a compiere quanto ancora manca al bene del mondo?

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