9 dicembre 2012 - II domenica di Avvento


Luca (3,1-6)

Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell’Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetràrca dell’Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto. Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati.


Per vedere il Dio-che-salva

È importante notare la precisione con cui san Luca ci fornisce i dati storici. Gli altri evangelisti non hanno riportato tutte queste informazioni. A noi sono utili per entrare nel giusto clima della lettura dei Vangeli: non sono “favole” (cfr. 2Pt 1,16), ma resoconti credibili della vita di Gesù. Non dobbiamo restare indifferenti di fronte a questo: c’è chi tende a minimizzare o, come si dice in termini tecnici, a demitizzare, come se i Vangeli fossero pura invenzione in fondo alla quale c’è al massimo un briciolo di verità.

È vero esattamente il contrario: non c’è mito o leggenda attorno al Signore; la nostra fede ha basi solide. Ed è bene dirlo quando se ne parla. Luca (e con lui Matteo) cerca informazioni anche sul periodo dell’infanzia di Gesù. Ne abbiamo ampia documentazione nei racconti dall’Annunciazione al Natale e fino all’episodio dello smarrimento di Gesù al Tempio. Il brano di oggi si colloca già oltre quei racconti: Giovanni Battista irrompe sulla scena come portatore della parola di Dio di cui si fa voce e interprete.

Egli viene considerato come un ponte tra l’Antico Testamento e il Nuovo: è l’ultimo dei profeti e il primo dei discepoli. Suo compito è prepararci a un evento mai accaduto prima nella storia dell’umanità: ogni uomo vedrà “Dio-che-salva”, che è poi l’esatta traduzione del nome “Gesù”. Ogni uomo potrà vedere Gesù, il “salvatore” di tutti. A quali condizioni si potrà vedere e credere in lui? Il Battista ne ricorda alcune: ogni ostacolo al Regno di Dio deve essere tolto.

Si tratta di ostacoli interiori, che intorbidano il cuore e non ci consentono di capire, perché pieni di noi stessi, autosufficienti in tutto, indifferenti al bene che si sta affermando nella potenza di Dio. Altri ostacoli sono fuori di noi, ma sono ancora frutto di visioni egoistiche della realtà: sono le chiusure a motivo delle quali un popolo è in lotta contro un altro popolo o un uomo non ha il necessario o è lasciato solo. Tutto questo insieme, ne possiamo essere certi, ci impedirà di vedere il Signore.

C’è un’altra condizione necessaria per vedere Gesù, come Giovanni e gli Apostoli lo hanno veduto: essergli contemporanei. È una condizione impossibile a noi che veniamo duemila anni dopo! Ricordiamo tutti però cosa accade a Tommaso (Gv 20,24ss): in quell’occasione Gesù si è fatto nostro contemporaneo e ci ha chiamati per nome. Proprio per questo i primi cristiani utilizzavano spesso questo nome per far riferimento alle comunità: “santi” (cfr. Col 1,2).

Gesù, di fronte alla fede di Tommaso che lo vede, chiama ciascuno di noi “beato”, perché senza aver visto, fidandosi della testimonianza degli apostoli, abbiamo creduto. Anche noi “vediamo” il Signore con gli occhi della fede!

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO ROMANO, curata dal cardinale Dionigi Tettamanzi. 

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