9 maggio 2010 - Sesta domenica di Pasqua

Sesta domenica di Pasqua (anno C) - 9 maggio 2010

La pace, solo la pace
 
«Vi lascio la pace, vi do la mia pace» (Gv 14,27). Il primo dono del Risorto è la pace. Nel cenacolo chiuso, il rumore della paura, l’incertezza del futuro, l’incapacità di comprendere il senso degli avvenimenti lasciavano il cuore in guerra. Che sarà di noi, avranno pensato gli apostoli mentre ancora riconsideravano le ore d’angoscia del Maestro. Avranno ripensato alle sue parole: «Se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco?» (Lc 23,31). Ma nel cenacolo chiuso la carezza risolutrice, che allontana la paura, arriva all’alba del terzo giorno. Un soffio, un alito d’amore: «Pace a voi». La risurrezione di Gesù ristabilisce ciò che il peccato aveva rubato: la pace interiore. Nel cenacolo, gli occhi sgranati degli increduli apostoli raccolsero la luce che permise loro di illuminare di senso i fatti e le circostanze: non ebbero più paura e abbracciarono per la prima volta il significato vero della pace. Il Maestro di Galilea ne aveva annunciato il significato quando era con loro. Avevano sentito parlare della pace dal Maestro, ma era difficile per loro capirne perfettamente il corso. Pace con chi, perfino con i nemici? E quelli che ti odiano e ti perseguitano? Non potevano dimenticare quando il cielo segnò l’alito del Maestro che, dall’alto della montagna, firmò il definitivo patto: «Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9). Più volte avevano riflettuto se la pace dovesse essere coniugata con la giustizia, se potesse ristrutturare i confini disastrati dell’arroganza umana, se mai potesse diventare cattolica, universale. La parola suadente del Maestro li aveva catturati ma non sempre erano riusciti ad acchiapparla per intero. Solo ora capivano: il Risorto era la luce che rischiara ogni uomo, ora riuscivano a intendere cosa avesse voluto dire nella cena delle consegne quando nel consumare lo stesso pane divennero consanguinei: «Vi lascio la pace non come la dà il mondo, io la do a voi» (Gv 14,27). Il soffio del Risorto ora spostava cumuli di storia e rendeva evidente la verità: il senso della vita, il suo orientamento sarà la pace, solo la pace. Non la dolce apatia desiderata come fuga dall’impegno, non l’egoistica chiusura che impedisce di perforare le mura sicure nelle quali ci si imprigiona. La pace, foriera di significato, genitrice di una nuova umanità, è lotta all’ingiustizia che opprime il debole, alla volgarità che offende il semplice, all’arroganza che schiaccia il diverso. È provocazione di significato: è lottare per un mondo di uomini che con orgoglio si riconoscono fratelli, con generosità ricostruiscono il dialogo, con ottimismo colorano il futuro, con compassione soffrono l’uno per l’altro, con fede sognano cieli nuovi e terre nuove. Quel giorno il grido della pace fece irruzione nel cenacolo delle paure. Ancora oggi quel grido provoca a uscire allo scoperto.

Giovanni (14,23-39)

In quel tempo, Gesù disse (ai suoi discepoli): «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui. Chi non mi ama, non osserva le mie parole; e la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato. Vi ho detto queste cose mentre sono ancora presso di voi. Ma il Paràclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbiate timore».

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In queste pagine potete trovare il commento alla liturgia domenicale e festiva secondo il RITO ROMANO, curata dal cardinale Dionigi Tettamanzi. 

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