27/05/2011
Duccio Demetrio, prima da destra, con Antonio Zulato che ha moderato l'incontro (Foto Nicola Gonella)
“L’interiorita’ maschile: le solitudini degli uomini”. Un tema “caldo”, l’incapacità degli uomini, di tanti uomini, di guardarsi dentro, di sentire la propria interiorità, di vivere a partire da essa, un tema che Duccio Demetrio, ospite sabato sera di fronte a circa trecento persone che affollavano lo “Spazio incontri Piazza Biade” nell’ambito del Festival Biblico di Vicenza, ha fatto oggetto di uno dei suoi ultimi libri (“ L’interiorita’ maschile: le solitudini degli uomini”, appunto).
Duccio Demetrio è docente di filosofia dell’educazione all’Università Bicocca di Milano e direttore scientifico della Libera Università dell’Autobiografia di Anghiari. E proprio da quest’ultima realtà, di cui Demetrio è stato fondatore insieme a Saverio Tutino per sviluppare attraverso l’autobiografia una vera e propria “pedagogia della memoria”, il filosofo ha rotto il ghiaccio: «L’autobiografia nasce dal desiderio che ci viene a volte di fare pensiero su di sé, di sapere dove si è, chi si è diventati, soprattutto dopo occasioni perdute o tragedie vissute. È quasi un ripatteggiamento con quanto si è stati. Questo dà una sensazione di quiete, tutto nell’autobiografia viene contenuto perché essa soddisfa il desiderio di una ricerca di senso ed è esercizio di accoglienza di sé». Autobiografia come “prendersi cura di sé”, un bel dono che si può fare a sé stessi.
Poi Demetrio è entrato nel cuore del discorso, l’interiorità maschile: «”Interiorità” è un concetto sfuggente perché evoca lo spirito, qualcosa che sfugge, qualcosa che però troviamo in tutte le esperienze religiose. Evoca quindi il senso della mancanza. L’interiorità non può mai essere completamente esaurita, completa ma è qualcosa che “ci” e “si” trasforma continuamente. Per questo l’interiorità richiede “educazione”, cura». Il libro di Demetrio viene dopo anni di ricerca intorno a questo tema ed è significativo che esso cominci con un’esplicita invettiva contro i comportamenti tipicamente maschili, che disorientano e mettono a disagio. «Per me è stato importante capire se noi uomini siamo oggi abitati da comportamenti non adatti alle esigenze della vita interiore. Il libro pone contrapposizione tra maschi e uomini: la mia tesi, contestabile, è che i maschi a volte non sono riusciti ad evolvere a uomini. Maschi che si vantano delle loro malefatte, che usano della libertà per farsi i loro comodi, che non sanno cos’è il senso della colpa, che se la prendono con le donne usandole …. Vedo troppi maschi così e però vedo anche uomini, in una netta minoranza che per molti versi possono riconoscere le loro qualità nelle beatitudini evangeliche: umili, timidi, senza voce, solitari, frutto di una fatica profonda e di un dolore che li hanno cambiati…».
Un uomo moderno, insomma, incapace di guardarsi dentro: «L’interiorità è il nostro invisibile: i maschi non la tollerano, hanno sempre bisogno di vedere, di toccare; altri però, che io chiamo “uomini”, seguono le utopie, la poesia, la ricerca di qualcuno che non potranno mai raggiungere, sempre ammaliati dall’enigma dell’esistenza. Sono uomini che pongono a sé stessi domande di senso, senza spargere idee che li portano al denaro, uomini che vogliono essere soli per trovare qualità desuete in questi tempi, che non vogliono seguire gli istinti per realizzarsi, che comprendono in un istante le parole poetiche. L’interiorità è abitata dal senso religioso della vita, dalla ricerca, dalla domanda filosofica, dal senso letterario, estetico dell’esistenza». Poi, un riferimento alla Bibbia: «Mi sono chiesto: che tipo di educazione all’interiorità hanno avuto gli uomini della Bibbia? E mi sono risposto che la cecità è importante: lo è, ad esempio, nel rapporto tra Tobi e il figlio Tobia, oppure ricord la cecità metaforica di Giona nel ventre della balena, di Isacco, che si trova a muoversi a tentoni, di Giacobbe, di Giobbe, di Giuseppe … La cecità diventa il luogo di fondo che ci rinvia alla necessità di sostare nell’ombra, a guardarci nel di dentro anche se questo ci porta pena. C’è, insomma, una cecità che ci trasmette il bisogno di crescere, di divenire».
Un altro segno distintivo degli uomini è che non sanno ricercare la solitudine: «Ne abbiamo paura ma non dobbiamo confondere la solitudine con l’isolamento. Mi sembra che noi, come maschi, stiamo tradendo la storia delle nostre solitudini migliori, vogliamo sempre "fare squadra”. Saluto con riverenza invece gli uomini che seguono strade solitarie, il piacere fisico e corporeo di stare soli purché questo non avvenga all’insegna della competizione, come succede spesso oggi. Dobbiamo riscoprire il valore salvifico ed emancipativo della solitudine, di una sana camminata nei boschi, del camminare a zonzo, del perdersi per strada. Dobbiamo accettare le antiche leggi della solitudine, camminare lentamente, stare in silenzio, sostare su un senso antico... ». I maschi quindi devono andare a scuola dalle donne: «Non riusciamo a piangere, non riusciamo a dire a un amico quello che pensiamo, quello che abbiamo dentro di noi… Come uomini dobbiamo andare a scuola dalle donne. Nel mondo femminile la capacità di cura, comunicare tra loro, di vivere la solitudine senza scivolare nell’isolamento è molto forte. In alcune componenti del mondo giovanile ci sono segnali fecondi in questo senso. Mi chiedo come i maschi potranno affrontare la vecchiaia in serenità, senza coltivare la vita interiore».
Infine, dal pubblico, una domanda: come trasformare i maschi in uomini? La riposta, secca: «Consiglio alle donne di fare un test ai loro uomini: regalate loro un libro di poesia. A seconda della fine che fa il libro potrete accertare che tipo di uomo avete».
Dossier a cura di Stefano Stimamiglio