27/05/2011
Osvaldo Poli e Mons. Piero Coda ieri durante la lectio magistralis (foto Alessandro Dalla Pozza).
«Il codice maschile, quello che caratterizza il sentire lo stile educativo del padre, è sicuramente l’incoraggiamento». Osvaldo Poli, noto psicologo e psicoterapeuta curatore della rubrica “Un adolescente in casa” di Famiglia Cristiana, ha sintetizzato così la dimensione più intima della figura paterna nel corso della lectio magistralis dal titolo “La figura paterna di Dio, la figura paterna dell’uomo”, tenuta ieri sera insieme al teologo Piero Coda al Festival di Vicenza.
La figura del padre, è cosa nota, è attualmente in crisi nelle società occidentali a causa della sua debolezza, della sua rinuncia a svolgere fino in fondo i compiti di accompagnamento dei figli nella vita, soprattutto nei suoi aspetti più dolorosi e faticosi. Andando nei dettagli Poli ha precisato che «il padre dà la forza al figlio di non aver paura di accettare il dolore, la rinuncia, il sacrificio necessario per rendere buona la vita. Il segno del padre infatti è la ferita. Per fare questo deve “credere” in qualcosa, avere delle convinzioni che lo sorreggono mentre aiuta il figlio ad accettare l’aspetto doloroso e impegnativo dell’esistenza. Deve credere che questo sia davvero vantaggioso per il figlio e che lo possa realmente realizzare e rendere felice. Il padre è una figura di fede. Deve credere che vi sia qualcosa che merita il dolore del figlio, per cui valga la pena chiederli di sacrificarsi senza dubitare del proprio amore per lui».
Monsignor Piero Coda, preside dell'Istituto Universitario Sophia di Loppiano, ha trattato la parte “divina” della paternità: «Il cuore dell'esperienza di Gesù è il suo rapporto col Padre, l'intimità di una comunicazione piena e permanente con lui: una realtà che fa da filo conduttore di tutta la contemplazione dell'evento di Gesù Cristo contenuta nel quarto Vangelo». Precisando meglio ha poi specificato che la predicazione di Gesù, la forza interiore del suo messaggio e del suo ministero messianico sono dati dal suo rapporto col Padre. «La preghiera del Padre Nostro ci dice non solo che Gesù muove – in tutto ciò che fa e dice – da questo rapporto di comunione intima con Dio, di cui ha coscienza d'essere l'Inviato, ma anche che egli vede il suo ministero come la trasmissione e la partecipazione agli altri di questo rapporto». «Purtroppo», ha concluso Coda, «la novità è tanto grande che quasi si direbbe ancora non è riuscita a rovesciare i nostri cuori…. Abbà, il nome affettuoso del figlio verso il padre, non è un nome in più o diverso di Dio, ma è la risposta che noi, in Gesù, siamo chiamati a dare per dono a quello sguardo infinito e onnipotente di amore e misericordia che Dio ha per ciascuno di noi». Si tratta, insomma di «credere che Dio è Padre, di affidarsi realmente a Lui e sino in fondo, significa di fatto vivere da figli. Non schiavi, ma figli: liberi, adulti, responsabili, eppure al tempo stesso bambini nello stupore del cuore e dell’intelligenza. E perciò fratelli, costruttori di pace e di giustizia nella società e nel mondo».
Dossier a cura di Stefano Stimamiglio