27/04/2013
Monsignor Nico Dal Molin
«Sono convinto che ci sarà un effetto Bergoglio». Monsignor Nico Dal Molin, direttore dell’ufficio nazionale della Conferenza episcopale italiana per la Pastorale delle vocazioni, ritiene che l’ondata di simpatia nei confronti di Papa Francesco si tradurrà nei prossimi anni in un aumento delle vocazioni stagnanti del nostro paese. «In questo primo mese e mezzo di pontificato le persone sono colpite dalla sua semplicità, dalla sua schiettezza, dalla sua capacità di comunicare contenuti, un misto di umanità e trascendenza. Trasmette l’idea di prete che alla gente piace. Lo sentono come uno di loro».
Monsignor
Dal Molin fa due esempi. «Quando all’Angelus domenicale il Papa ha interloquito con i giovani presenti in piazza San Pietro invitandoli a dedicare la propria vita a qualcosa di grande è stato un esempio straordinario di dialogo vocazionale». E «quando ha detto che il pastore deve mescolarsi nel suo gregge, deve avere l’odore delle pecore, ha usato una metafora fantastica che la gente ricorda». Non si può ancora dire che siano aumentate le vocazioni in un lasso di tempo così breve, insomma, ma il responsabile Cei è convinto che cresceranno i candidati al sacerdozio. «Lo vedo dalle numerose email che arrivano in questo ufficio. Molti comunicano il desiderio di riprendere un cammino».
Complessivamente, in Italia l’età media dei preti aumenta, le nuove ordinazioni languono, sebbene si sia registrato un lieve aumento negli ultimi anni, e in molte regioni d’Italia, soprattutto al centro, i sacerdoti provengono dall’estero. Da un’indagine realizzata alcuni anni fa nel clero italiano diocesano dalla Fondazione Agnelli in collaborazione con la Cei, pubblicata da Serra International Italia, un organismo aggregato alla Pontificia opera delle vocazioni sacerdotali, risultava che fra i 33 mila ordinati che costituivano all’epoca il clero diocesano (e non quindi quello religioso costituito da ordini e congregazioni) e ricevono retribuzione e contributi previdenziali, i preti nati all'estero erano ormai il 4,5 per cento, quasi tutti provenienti da Paesi in via di sviluppo, africani o dell’Est europeo. Ma vi sono regioni pastorali, come il Lazio, in cui la quota dei sacerdoti stranieri è del 21 per cento. E se il confronto – aggiungono i responsabili della ricerca – si restringeva ai preti di età inferiore ai 40 anni, si arrivava al 49,9 per cento di quanti officiavano, ad esempio, in Umbria, dove, quindi, uno su due era straniero. Al secondo posto il Lazio con il 43,6 per cento di stranieri, terza la Toscana con il 35,2 per cento. Segue la regione Marche con il 22,8 per cento.
Città del Vaticano, domenica 21 aprile 2013. Papa Bergoglio ordina dieci nuovi sacerdoti nella Basilica di San Pietro. Foto Ansa.
E' proprio nei territori che furono dello Stato pontificio – e che nel
secondo dopoguerra sono diventate "regioni rosse" – che le vocazioni
languono maggiormente. L’età media dei preti operanti in Italia è poi di 60 anni e l’anzianità di servizio media è di ben 33 anni. Crescente,
invece, la quota dei sacerdoti con più di 80 anni: sono infatti il 12,8
per cento, con un picco di uno su cinque, ad esempio, in Liguria.
In particolare gli ultimi anni i cui dati sono disponibili – le statistiche sono di priestlyvocations.com – hanno registrato un lieve aumento delle vocazioni. Se
nel 2000 le ordinazioni in Italia sono state 527, vi è stato dapprima
un lieve calo quasi continuo fino a 395 ordinazioni all’anno, poi la
curva è risalita (398 nuovi preti nel 2008, 405 nel 2009 e 416 nel
2010). A questo è corrisposto un andamento altalenante del numero di
sacerdoti diocesani: 36.117 nel 2000, aumentati fino a 34.376 nel 2002,
poi scesi fino a 33.161 nel 2007 e infine risaliti fino a 32.651 nel
2010. Per completezza va notato che sempre nel 2010 erano 16.094 i
sacerdoti religiosi, 91.286 le religiose. Quell’anno ci sono stati in
Italia, complessivamente, 1.242 abitanti per sacerdote, ossia 1.181
cattolici per sacerdote.
È difficile individuare i complessi motivi che spiegano l’andamento
vocazionale. I numeri di oggi non hanno nulla a che vedere con gli anni
Sessanta, quando il numero di sacerdoti era quattro volte tanto e
vennero costruiti enormi seminari minori che poi, nel giro di pochi
anni, dopo il Concilio Vaticano II e il '68, si sono svuotati. Ma quella
era un’altra epoca. La natalità in Italia era molto più alta, il
benessere molto meno diffuso e il cattolicesimo una religione più
radicata nella società. Nell’epoca recente chi entra in seminario fa una
scelta meno scontata, e per questo più consapevole. Oggi, ad ogni
modo, la situazione varia molto da regione a regione. Se al centro
Italia le vocazioni languono, vanno bene, invece, in regioni come la
Puglia e il Veneto, ma anche in zone come il Piemonte la Cei registra un
certo risveglio. «Ci sono zone – spiega monsignor Dal Molin – dove i
vescovi hanno lavorato bene, investendo energie e impegno nella
pastorale vocazionale». Più in generale, «una pastorale autoreferenziale
che tenta solo di rispondere all’emergenza non si è rivelata vincente».
Aumentano i sacerdoti, invece, laddove «sono coinvolti anche i
religiosi, i laici, l’associazionismo», perché in questi casi «il
seminarista è inserito in una comunità, il suo percorso è accompagnato e
si crea un circolo virtuoso».
Iacopo Scaramuzzi
Dossier a cura di Alberto Chiara e Antonio Sanfrancesco