Sant'Egidio, da Trastevere al mondo

Quarantacinque anni fa nasceva nei licei romani un'esperienza diffusasi in tutta Italia e anche all'estero: scelta preferenziale dei poveri, impegno per la pace, dialogo ecumenico.

La scelta di stare con i poveri: parla l'attuale presidente, Marco Impagliazzo

07/02/2013
Marco Impagliazzo, presidente della Comunità dal 2003.
Marco Impagliazzo, presidente della Comunità dal 2003.

Marco Impagliazzo, 50 anni, docente di Storia contemporanea all'Università per stranieri di Perugia, è presidente della Comunità di Sant'Egidio dal 2003. “Ho incontrato la comunità”, racconta, “attorno al 1977, quando ero un giovane studente in un liceo romano. Erano gli anni della contestazione giovanile e i giovani si chiedevano dove andare. Io trovai risposta a questa voglia di cambiamento nella Comunità, in particolare nei giovani che vidi all'opera nelle periferie romane, con il doposcuola ai ragazzi più disagiati”.

Per lei quali sono stati i momenti più coinvolgenti da quando è entrato nella Comunità?

«Ricordo il primo incontro con i bambini poveri nel quartiere popolare della Garbatella. Fu un momento importante: mi resi conto che avevo trovato una risposta alla mia voglia di partecipare al cambiamento del mondo aiutando dei bambini in difficoltà. Non posso non ricordare il giorno della firma degli accordi di pace per il Mozambico, il 4 ottobre del 1992. Fu un momento di grande gioia in cui finalmente si vedevano dei guerriglieri diventati politici e un Paese stremato dalla guerra che gioiva per una pace vera dopo anni di fatiche e di trattative serrate. La visita al centro Dream di Blantyre in Malawi mi ha molto colpito: ho visto la gioia incommensurabile di donne malate di Aids che potevano dare alla luce bambini sani grazie alla terapia antiretrovirale e alla passione di chi le ha aiutate a curarsi durante la gravidanza. La gioia di quelle madri è per me indimenticabile. Anche perché si moltiplica man mano che il programma Dream cresce in Africa. infine resta forte il ricordo dell'incontro di Assisi per la pace nel 1986: una vera icona vivente del mondo globalizzato in pace».

Da allora la vostra comunità si è impegnata a tener vivo lo spirito di Assisi, ma a volte non è stato facile, vero?


«L'incontro di Assisi non fu merito nostro, ma di Giovanni Paolo II. Ma dopo quel giorno straordinario comprendemmo, insieme con Andrea Riccardi, che quel momento non poteva rimanere isolato e doveva continuare. Qualcuno, soprattutto nei primi anni, ha avuto qualche perplessità su questi nostri incontri. In realtà la storia ha dimostrato che lo Spirito di Assisi non solo andava continuato ma diffuso e allargato oltre che alle religioni anche a uomini e donne di cultura e di buona volontà. Questi incontri incontri sono un grande messaggio di pace in un mondo ancora colpito in tante parti dalla guerra e dalla violenza diffusa. Lo Spirito di Assisi ha mostrato che le religioni sono l'elemento fondamentale della pace del mondo e non giustificano mai la violenza».

Pensa che questo tema oggi sia prioritario per la Chiesa?

«Io credo che Benedetto XVI, volendo ricordare i 25 anni dell'incontro di Assisi insieme a uomini non solo delle religioni, ma anche della cultura e del mondo laico, abbia dato una ulteriore accelerazione a questo tema. Anche perché oggi o si è uniti o si è sconfitti, per questo bisogna trovare in tutti quelle buone volontà che possano aiutare a superare questo grande momento di crisi».

Il vostro impegno per l'aiuto dei poveri, a Roma e in altre città, è notorio. Anche a Roma è aumentata la povertà?

«Sì, a Roma il disagio sociale è aumentato così come per tante famiglie italiane. C'è il problema della disoccupazione, ma direi che il disagio aumenta anche perché tanti si dividono, si è rotto tutto ciò che ci lega agli altri. La crisi della famiglia è anche uno dei fattori decisivi dell'impoverimento della nostra società. Non esiste solo la crisi economica, ma anche antropologica. Si perdono i legami, si cerca di salvarsi da soli e quando si è da soli si fa ancora più fatica a vivere. Perciò la crisi di Roma è anche la crisi del senso comunitario della città. In questi ultimi anni non ci sono stati messaggi forti né grandi esperienze a questo livello, se si eccettua l'esperienza di tante realtà ecclesiali. In questo senso Sant'Egidio è diventato un approdo non solo per i poveri, ma anche per persone che hanno vari tipi di difficoltà. Molti hanno trovato in noi una famiglia».

Giovanni Paolo II a Sant'Egidio nel 1993
Giovanni Paolo II a Sant'Egidio nel 1993

Sul fronte internazionale oggi dove siete impegnati?


“Non abbiamo mai dimenticato, dal Mozambico in poi, il tema della pace. Recentemente sono stati avviati dei colloqui fra il Govenro del Senegal e la guerriglia del Casamance. Questi colloqui hanno portato alla liberazione di alcuni soldati senegalesi che erano prigionieri dei guerriglieri. Il tema della pace ci resta sempre a cuore. Una volta al mese preghiamo in tutte le nostre comunità per la pace nel mondo, dove vengono ricordati i Paesi che sono in guerra e che soffrono per la violenza. Questo è il tratto della nostra comunità, mai separare la solidarietà dalla preghiera, l'aiuto ai poveri dalla spiritualità”.


In questi ultimi tempi, dopo l'impegno diretto del vostro fondatore Andrea Riccardi nel Governo Monti e la candidatura di alcuni vostri esponenti alle prossime elezioni, vi sono arrivate critiche. Può esserci uno snaturamento della Comunità? Lei che cosa replica?


“Se queste critiche ci fossero sarebbero un po' provinciali perché quando si tratta dell' Italia dovrebbe esserci questo tipo di problema? Noi abbiamo condotto negli anni trattative di pace molto impegnative e coinvolgenti in Mozambico, in Algeria, e in altre aree del mondo. Questo impegno non ha mai suscitato questi dubbi. Essendo una realtà internazionale la comunità si è già, in qualche modo, impegnata in ciò che ritengo essere uno degli scopi della politica, cioè la costruzione del bene comune e il sostegno ai piu deboli. Ora il fatto che esista l'impegno personale di qualcuno e non di Sant'Egidio, che resta una comunità ecclesiale, nella società italiana non mi pare uno snaturamento della nostra storia. Ognuno ha il diritto di dare il suo contributo personale alla costruzione di una societá migliore e più giusta restando legato alla sua storia e portando i valori in cui crede al cuore della società"


Con che spirito celebrate il 45° anniversario della Comunità?


“Come ogni festa è innanzitutto un momento di gioia e di ringraziamento al Signore per la storia che ci ha dato. In questi anni siamo diventati amici di tante persone e soprattutto dei poveri. I cristiani accanto ai poveri sono una grande risposta alle domande del nostro tempo, perché chi sta con i poveri capisce meglio la realtà. I poveri ci aiutano a evangelizzare e a toccare il cuore di tante persone che si sono allontanate dalla fede. Perché ci avvicinano a Gesu. Siamo nell'Anno della Nuova Evangelizzazione e questo anniversario ci pone la domanda di come Sant'Egidio può continuare a comunicare il Vangelo nel mondo globalizzato. Il contributo più grande che possiamo dare in questo senso è comunicare il Vangelo a tutti con gioia e mostrare il volto di Gesù nel povero".

Roberto Zichittella
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