30/06/2011
Jean Pierre Schumacher, 87 anni.
«È molto bello! Mi è piaciuto moltissimo!
È come un’icona: ogni volta
che la osservi, scopri dettagli che
avevi trascurato e che rivelano significati
nuovi». Fratel Jean Pierre Schumacher non
ha dubbi. Ha davvero amato il film Uomini
di Dio, che tanto successo ha avuto in Francia
(più di tre milioni di spettatori) ed è stato distribuito
in una cinquantina di Paesi nel
mondo. Fratel Jean Pierre è l’ultimo sopravvissuto
della strage di sette monaci trappisti,
rapiti nel marzo del 1996 nel monastero di Tibhirine
in Algeria, e uccisi il 21 maggio. La loro
vicenda umana e spirituale viene mirabilmente
raccontata nel film di Xavier Beauvois,
vincitore del Gran Premio della Giuria
lo scorso anno a Cannes e di numerosi César,
gli Oscar del cinema francese (miglior film,
migliore attore non protagonista, miglior fotografia).
Una vicenda che segnò duramente
la piccola comunità cattolica d’Algeria, ma
che ha lasciato un messaggio positivo di fratellanza,
dialogo e fedeltà: fedeltà a Dio e al
Vangelo, ma anche ai fratelli musulmani,
con cui i monaci avevano scelto di vivere.
Le tombe dei monaci uccisi.
Fratel Jean Pierre, che oggi ha 87 anni e
vive nel monastero trappista di Midelt, in
Marocco, era uno di loro. È scampato per miracolo
al rapimento e quindi al massacro dei
sette confratelli. L’altro, fratel Amédée, che
pure era sopravvissuto alla strage, è deceduto
nel 2008.
Oggi come ieri, è ancora lui, Jean Pierre, ad
aprire la porta del monastero. Per oltre
trent’anni presente a Tibhirine, era stato a
lungo il portinaio di quella comunità monastica
che si era insediata sui contrafforti dell’Atlante
algerino sin dal 1938. Ma ancora oggi,
qui a Midelt, sul Medio Atlante marocchino,
dove si è trasferito immediatamente dopo
il rapimento, continua a fare da portinaio.
«È per questa ragione che quella notte mi
hanno risparmiato», racconta con grande pacatezza
e molta serenità. «Perché la mia camera
in portineria stava un po’ in disparte rispetto
alla clausura. E poi i terroristi avevano
avuto l’informazione che eravamo sette. Ma
quella notte eravamo nove».
Un altro scorcio di Tibhirine.
Memoria lucidissima, gran voglia di raccontare,
fratel Jean Pierre ha visto il film
tra l’apprensione dei suoi confratelli di oggi.
«Eravamo un po’ in ansia prima di vedere
la pellicola», ammette fratel Jean Pierre Flachaire,
priore del monastero di Midelt, «Jean
Pierre ha vissuto quegli eventi ed è rappresentato
nel film. È stato molto colpito, ma
non ha detto una sola parola di critica, anche
se ovviamente ci sono delle scene che non
corrispondono esattamente alla realtà».
«Come quando fratel Amédée si rifugia sotto
il letto! », rilancia sorridendo il monaco sopravvissuto.
«Oh no, non è possibile!». Lui e
Amédée erano molto legati. Così come fratel
Luc, il medico. Il senso della loro vita e quello
della comunità sono ben suggeriti nel
film. Il priore di Midelt lo ha già visto sette
volte. Fratel José Luis, spagnolo, l’altro membro
di questa piccola comunità, è andato a
presentarlo lo scorso gennaio a Madrid. «Ho
avuto reazioni molto positive, anche se ci sono
persone che non riescono a capire la possibilità
di una relazione così fraterna tra i monaci
e la popolazione musulmana. Ma in generale,
che accoglienza straordinaria!».
Ancora fratel Jean Pierre, che oggi vive nel monastero di Midelt, in Marocco.
«Questo film mi ha profondamente toccato
», confida fratel Jean Pierre. «Di quegli anni
a Tibhirine conservo soprattutto il ricordo
di una piccola comunità fraterna, il lavoro in
comune, gli uffici... È stata una grande emozione
rivivere tutto questo nel film, che trasmette
un messaggio vero, anche se i dettagli
del racconto non sono tutti esatti. Ma
questo non ha importanza. L’essenziale è che
la pellicola restituisca in maniera autentica il
senso della nostra presenza lì. E poi, in tutto
il film, c’è questa presenza di Dio e questo abbandono
a lui, che dice molto bene l’essenza
della nostra vita monastica».
Il regista è venuto in visita al monastero di
Midelt con l’attore che ha interpretato Jean
Pierre. Hanno scambiato le loro impressioni.
Momenti anche commoventi, ricordano i monaci.
In seguito, la pellicola è uscita in un cinema
a Casablanca e i Centri culturali francesi
l’hanno riproposta nelle principali città
del Marocco, Paese in cui è stato girato.
Tioumliline non è molto distante dal monastero
di Midelt. È qui che è stato realizzato
Uomini di Dio. Vecchio convento benedettino,
oggi abbandonato, è affiancato dalle abitazioni
di alcune famiglie locali.
Sukeina, una bambinetta gentile e vivace,
vive lì e gioca all’entrata del chiostro. Si ha
l’impressione di conoscerla. In effetti, è proprio
la bimba con una bruciatura alla testa
che viene curata da fratel Luc all’inizio del
film. L’incanto è assicurato: fratel Jean Pierre
prima, questo monastero e questa bimba
dopo… Realtà e racconto si mescolano in
questo luogo così carico di memoria e di suggestioni.
Le stesse che il film riesce a trasmettere
e a fissare nel cuore di chi lo vede.
Foto: Parallelozero.